Parabole
III settimana T.O. –
Il Signore Gesù <Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere> (Mc 4, 33). Oggi le due parabole del vangelo ci ricordano due cose essenziali per il nostro cammino di fede: di non essere mai angosciati per il cammino di crescita che il seme della Presenza in noi comunque continua a vivere. Inoltre ci esorta a non essere mai impressionati e allarmati dall’esperienza della piccolezza e della fragilità. Il Signore Gesù ce lo dice con immagini forti, ma anche profondamente belle e consolanti. La prima risuona come un invito alla serenità: <Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga> (4, 28). La seconda è un modo per riconciliarci con la nostra esperienza di fragilità e rinnovare in noi la fiducia: <E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno> (4, 31). Come ricorda Adrienne von Speyr: <La grazia di Dio ricolma la Parola seminata di una forza assoluta di crescita. Se una parola piena di grazia, una parola che possiede un po’ della forza di Dio, cade dentro di noi, germoglierà. Non abbiamo nessun bisogno di guadare ogni momento con angoscia se il seminatore si occupa di noi o meno. Il seme cresce se viene da Dio>. La stessa mistica conclude dicendo: <che non ci accada di tenere per noi stessi il seme che germoglia dentro di noi>1.
L’autore della Lettera agli Ebrei sembra completare le parabole di Gesù aiutandoci a fare della nostra stessa vita una vera parabola: <Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa> e aggiunge <Avete soltanto bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso> (Eb 10, 35-36). Le immagini sembrano completarsi: la fiducia cui ci invita il Signore Gesù è, in realtà, un vero combattimento contro tutto ciò che dentro di noi attenta al risplendere di quella <luce> (10, 32) che abbiamo ricevuto come dono e di cui siamo responsabili. Se non entriamo in questo flusso è come se ci condannassimo alle tenebre di una interiore sterilità: <Il mio giusto per fede vivrà; ma se cede, non porrò in lui il mio amore> (10, 38). Potremmo chiederci in cosa mai possa consistere il cedere di un seme. Il regno di Dio infatti, prima ancora che nel seme, si ritrova nel gesto umile, quotidiano di gettare il seme e di cui siamo chiamati a farci imitatori. È sempre in agguato la tentazione di pensare che Dio con la sua potenza dovrebbe sigillare con il successo le nostre opere, studiate accuratamente a tavolino o dare futuro alle nostre strategie, soprattutto a quelle spirituali e “pastorali”. Il Signore ci invita ad entrare nel suo regno chiedendoci di assumerne la logica che ha la potenza propria di un piccolo seme che rimane serenamente piccolo, senza smettere di portare in sé la potenza di una vita che è semplicemente la sua e che, paradossalmente, è tutto il suo segreto.
1. A. von SPEYR, Saint Marc, Socéval, 2006, p. 198.