Affascinati

XXXII settimana T.O.  –

Cosa c’è di più bello e di più santo che essere <affascinati> (Sap 13, 3) dalla <bellezza> dell’universo, come pure essere emozionati da tutte le bellezze che abitano il nostro cuore di umani? Eppure, la Sapienza ci mette in guardia dal rischio di fermarci troppo presto e di lasciarci così irretire <dall’apparenza> solo <perché le cose viste sono belle> (13, 7). L’invito è di partire dal fascino per andare oltre, verso una comprensione sempre più piena del mistero della vita in cui si riflette il dono generoso di Dio come Creatore e <sovrano> (13, 8) di tutte le cose. Ciò che l’Altissimo si aspetta da noi non è, certo, una servile sottomissione alla sua gloria, bensì un pieno esercizio dei doni di cui, nella creazione e nella redenzione, ci ha ricolmati perché potessimo portarli a pienezza con la nostra intelligenza e il nostro amore. L’esortazione della Sapienza suona come un continuo ampliamento della coscienza: <pensino quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati colui che è principio e autore della bellezza> e ancora <pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati> (13, 3-4).

Questo appello alla nostra intelligenza di creature è un atto di rispetto e di onore verso di noi da parte del Creatore il quale esige, come ricambio, il fatto che sappiamo fare tesoro delle nostre possibilità senza fermarci troppo in fretta alle apparenze tanto da confondere il segno con il Significato. Se cadessimo in questa trappola non faremmo che confonderci su noi stessi come avvenne ai tempi dei patriarchi: <mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti> (Lc 17, 27). Forse il vero motivo di questo disorientamento così radicale è che i nostri padri avevano scambiato se stessi per degli <dèi> (Sap 13, 3). Pietro Crisologo commenta così l’atteggiamento di Dio: <Al momento del diluvio, la sua vendetta purificò la terra dal male che sembrava ormai così inveterato. Per questo chiamò Noè a generare un mondo nuovo, lo incoraggiò per questo con dolci parole. Così lo onorò con la sua fiducia familiare, lo istruì con bontà sul presente e lo consolò, con la sua grazia, riguardo al futuro. Piuttosto che dargli degli ordini lo rese partecipe del suo progetto e racchiuse così nell’arca il seme del mondo intero, affinché l’amore della sua alleanza facesse superare il timore della schiavitù cosicché una comunione d’amore potesse conservare ciò che lo sforzo comune era riuscito a salvare>1.

Ancora continua il dramma di ciò che potremmo definire il mistero continuo e sempre presente della salvezza della nostra umanità in cui siamo personalmente e perennemente coinvolti. Il Signore ci consegna la regola perché <l’ignoranza> (Sap 13, 1) non ci inganni: <Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva> (Lc 17, 33). Una vita viva è sempre rivelazione di Dio, ma ciò che ci rende veramente vivi come <il fuoco o il vento o l’aria veloce> (Sap 13, 2), è il saper dare la vita ritrovando continuamente, a contatto e alla scuola della verginale bellezza della natura, la nostra remota consapevolezza che è la nostra gioia più segreta: essere creature di Dio, affascinate dalla sua infinita bellezza e non prigioniere della propria piccola prestanza.


1. PIETRO CRISOLOGO, Sermoni, 147; PL 52, 594.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *