Avarizia

IV settimana T.O.

L’unico testo di tutto il vangelo di Marco in cui non si parli direttamente del Signore Gesù o dei suoi discepoli è quello in cui si racconta della morte violenta, e persino un po’ banale, del Battista. Il lungo e circostanziato racconto ci permette di mettere in pratica l’esortazione della prima lettura: <Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede> (Eb 13, 7). La Parola di Dio racchiusa nelle Scritture ci obbliga ad una presa di coscienza come pure ad una scelta di campo: la figura ambigua e debolissima di Erode, che si lascia intrappolare dalle macchinazioni di Erodiade e dal fascino della sua giovane figlia, è un monito: se non consideriamo attentamente quelle che sono le scelte di campo della nostra vita rischiamo di rimanere impigliati nella rete della nostra stessa stoltezza. Questo meccanismo perverso comincia sempre con il cedimento alla superficialità che ci fa perdere il controllo delle nostre parole tanto da non saperne cogliere e prevedere le conseguenze.

L’autore della lettera agli Ebrei ci aiuta ad andare all’essenza di quella che possiamo considerare la malattia che corrode il cuore di Erode. Questo re, spietato e debole al contempo, sembra animato talora da buone intenzioni ed attenzioni da non sfuggirgli la verità di Giovanni. Ora sembra intuire quella dello stesso Gesù di cui molto si parla in giro: quella verità che viene ripresa nella prima lettura con l’esortazione: <La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete> (Eb 13, 5). Siamo abbastanza facili nel riconoscere e nel deplorare l’avarizia presente negli altri, ma difficilmente siamo in grado di decifrarne i segni e i percorsi nel nostro cuore, là dove radica quel senso di insoddisfazione talmente profondo da ritenere di avere bisogno di “avere” e, ancora più potentemente, di sperimentare e sentire sempre di più di “poter trattenere”. Così la quantità seppellisce in noi la sensibilità e ci stordisce tanto da renderci così superficiali e stupidi da non mettere in conto che, alla nostra avarizia, si accompagna quella di quanti condividono il nostro cammino.

La promessa di Erode è un atto di grande generosità: <Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò> (Mc 6, 22). Erode sembra quasi avere bisogno che gli altri – prima fra tutte la figlia di Erodiade – credano alla sua prodigalità e generosità: <E le giurò più volte: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”> (6, 23). Erode molto probabilmente ha dimenticato, nella gioia del suo compleanno e nei piaceri del banchetto, che nella sua vita c’è anche il Battista che tiene imprigionato nella sua fortezza… e così cade nella trappola della sua stessa generosità malata che lo fa essere tanto prodigo quanto stolto. Soprattutto il grande difetto di Erode è di non saper fare i conti della vita con le sue tasche, ma frugando nelle tasche degli altri fino a non potersi più tirare indietro dal far tagliare la testa a Giovanni. Un re che agisce così non è che un pover’uomo, eppure non possiamo dimenticare che talora, anche a noi, piace superare noi stessi senza poter onorare ciò che promettiamo, se non rubando la vita degli altri.

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