Debolezza

II settimana T.O.

La Lettera agli Ebrei non lascia nessuno spazio elle illusioni “sacerdotali” né, tantomeno, alle pretese clericali: <Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza> (Eb 5, 2). Queste illusioni e queste pretese non sono certo solo appannaggio e tentazione di quanti sono rivestiti di un ministero all’interno della Chiesa, ma sono delle realtà che esigono la continua vigilanza di tutti per evitare, in ogni modo, di cadere nella trappola di pensare ad una perfezione che sia privata del suo carattere divino che è appunto la <giusta compassione>. Nel Vangelo, il Signore Gesù ci fa percepire con chiarezza in che cosa consista questa compassione. Il primo passo è quello di liberare il cuore e lo sguardo sugli altri dalla cataratta del giudizio, che esige la volontà di superare ogni pregiudizio, sia morale che spirituale. La domanda che viene posta al Maestro sembra alquanto innocua: <Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?> (Mc 2, 18).

La risposta del Signore Gesù sembra andare ben aldilà di quella che sembra essere una semplice provocazione devota. A partire da questa domanda, che riguarda le espressioni particolari ed eminentemente personali delle forme di preghiera, in modo del tutto imprevisto, il Signore evoca l’immagine delle <nozze> (2, 19). All’immagine nuziale sono legati almeno due valori fondamentali: la gioia e l’intimità! Questi due elementi rimandano, in modo del tutto naturale ad un elemento che sembra irrinunciabile per il Signore Gesù: il carattere assolutamente personale dell’esperienza di Dio unitamente a quelle che sono i segni che la indicano, la nutrono e la esprimono. Laddove nel modo di porsi dei <discepoli di Giovanni> e dei <farisei> (2, 18) sembra esserci un cliché cui tutti dovrebbero conformarsi, il Signore sottolinea che per quanto riguarda il cammino spirituale, siamo posti necessariamente e continuamente in un alveo assai diverso che non può e non deve mai diventare essenzialmente convenzionale.

L’evocazione della gioia delle nozze non è disgiunta dalla memoria del fatto che <verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto> (2, 20), ma questo non fa che confermare l’orizzonte assolutamente nuovo in cui si muove e attraverso cui si offre l’annuncio del Vangelo. Questo annuncio se non rifiuta nessuna consuetudine, al contempo, le sottopone tutte al discernimento dell’interiorità e dell’intimità ove si consuma – secondo il linguaggio propriamente nuziale – l’incontro tra il Creatore e le sue creature. Due piccole, ma efficacissime parabole completano il quadro e chiariscono – si potrebbe dire una volta per tutte – la posta in gioco dell’annuncio evangelico: <Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio> e ancora <nessuno versa vino nuovi in otri vecchi> (2, 21-22). La frizzante novità del Vangelo sembra consistere proprio nella capacità di assumere la sfida della <debolezza> (Eb 5, 2). Come spiega Pietro Crisologo: <Questo panno nuovo è il tessuto del vangelo, che egli sta tessendo col vello dell’Agnello di Dio: un vestito regale che presto il sangue della Passione tingerà di rosso. Come potrebbe Cristo accettare di unire questo panno nuovo al vecchio legalismo>1 che, naturalmente, non è solo quello di Israele.


1. PIETRO CRISOLOGO, Omelia su Marco, 2.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *