Grande

XXXI Domenica del T.O. –

Non c’è alcuna esitazione e una piena consapevolezza in quella che potremmo definire l’autocertificazione del nostro Dio: <Io sono un grande re> e come se non bastasse <il mio nome è terribile fra le nazioni> (Mal 1, 14). Il problema non è essere più o meno grandi, ma capire che cosa ci renda veramente grandi e in che modo questa grandezza vada non imposta agli altri, ma dolcemente accolta come dono dagli altri che ci aiutano a riconoscere e ad accogliere chi siamo in verità. Le parole autobiografiche dell’apostolo Paolo ci aiutano a comprendere meglio il modo dell’autocertificazione appena citata: <siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli> (1Ts 2, 7). Un sentimento talmente profondo e pervasivo nella vita di Paolo da fargli aggiungere immediatamente: <avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari> (2, 8).

L’unico modo adeguato per trasmettere in verità e con efficacia una parola che sentiamo e vogliamo far sentire come proveniente da Dio è una modalità assolutamente umana e completamente lontana da goni distanza e neutralità con cui spesso si tenta di nascondere le proprie carenza e fragilità per esaltare, invece, una presunta a presuntuosa santità. Per l’apostolo l’amore grande attraverso cui fa grande l’annuncio del Vangelo è legato ad una operosità umile e senza nessun privilegio: <voi ricordate il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando giorno e notte, per non essere di peso ad alcuno di voi> (2, 9). Come scriveva Madeleine Delbrel: <Il Vangelo non può essere annunciato veramente a condizione che l’evangelizzazione riproduca nel rapporto tra i cristiani e gli altri il cuore a cuore che il credente vive con il Cristo del Vangelo. Nulla al mondo potrà donarci la bontà di Cristo se non il Cristo stesso. Nulla al mondo ci darà accesso al cuore del nostro prossimo se non avremo permesso a Cristo di accedere al nostro stesso cuore>1.

Alla luce di tutto ciò possiamo intuire meglio cosa significhi e debba significare per la vita di ogni giorno la parola conclusiva di Gesù che non è rivolta agli ipocriti farisei dei suoi tempi, ma tenta di risanare la piaga della nostra stessa ipocrisia: <Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato> (Mt 23, 11). Essere grandi significa infatti prendersi cura! Essere adulti significa aiutare e sostenere la crescita di quanti sono più piccoli senza mai voler pesare sugli altri, ma, al contrario cercando di dare ai nostri fratelli e sorelle in umanità la speranza di poter contare – e talora pesare – su di noi senza nessun imbarazzo.


1. M. DELBREL, Noi altri, gente di strada.

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