Guarigione
XXIV Domenica del T.O. –
La domanda posta dal Siracide è come una spada che attraversa il nostro cuore e chiede di mettere in chiaro quali siano gli orientamenti e le priorità fondamentali della nostra vita: <Un uomo che resta in collera verso un altro uomo come può chiedere la guarigione al Signore?> (Sir 27, 3). Sono quattro le domande poste dalla prima lettura di quest’oggi e potremmo lasciarci toccare e attraversa seriamente da quanto ci viene richiesto come onesto sguardo su noi stessi prima di lanciarci verso una valutazione, peraltro spesso veritiera, della vita e del comportamento dei nostri fratelli. Se la prima domanda ci fa intuire come il processo del perdono sia un vero e proprio cammino di guarigione, la seconda ci mette di fronte all’assurdità di alcune posizioni che pure difendiamo strenuamente ed appassionatamente: <Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?> (27, 4). Mentre noi siamo abituati a confrontarci con gli altri per rimarcare la nostra onestà e giustizia ed evidenziare i difetti altrui siamo rimandati a un modo completamente diverso di vivere e di far vivere il confronto. Un altro passo ci viene chiesto di fare ed è quello di avere una considerazione più adeguata – a tratti spietata – di quella che è la nostra realtà per divenire capaci porre il nostro sguardo sul fratello a partire da un punto di vista di verità essenziale e fondamentale: <Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio?> (27, 5).
Giustamente la Scrittura ci ricorda che non abbiamo diritto al <rancore> perché questo non appartiene a coloro che hanno una giusta considerazione di se stessi e hanno talmente presente la propria fragilità da non poter che cogliere, persino nelle situazioni più difficili da accettare, la fragilità dell’altro. La violenza e la cattiveria non sono che rivelazione di povertà e fragilità interiori che vanno trattate come malattie e come tali bisogna anche stare molto attenti a non essere superficiali o stupidamente eroici facendo tutto il possibile per non esserne contaminati e così non poter più soccorrere. Un’ultima domanda viene posta dal Saggio: <Chi espierà per i suoi peccati?>. Potremmo riprendere questa espressione della prima lettura riformulandola in un altro modo: <Chi potrà guarire al tuo posto?>.
La risposta è scontata, ma l’apostolo Paolo, ci porta più lontano e ci rivela il segreto della nostra stessa vita da cui possiamo attingere la forza per vivere al meglio le nostre relazioni fraterne: <nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore> (Rm 14, 7). Lungi dall’essere una sorta di fuga dalla realtà, quest’espressione così dell’apostolo ci aiuta a non disperdere la nostra attenzione nei circuiti infernali del <rancore> per abitare le regioni interiori della pace. Del Vangelo possiamo ritenere come una punta di diamante una sola espressione da cui far tagliare ogni realtà inadeguata della nostra vita: <Il padrone ebbe compassione> (Mt 18, 27). E la compassione non conosce né addizione, né sottrazione, né tantomeno divisione ma si moltiplica infinitamente nella logica propria dell’amore.
“Sia che viviamo, viviamo per il Signore ,sia che moriamo , moriamo per il Signore”.
Il nostro cuore è riempito dall’amore del Signore
e si trasforma in un cuore pieno di compassione per i nostri fratelli!