In pace
XXXI settimana T.O. –
Il salmo responsoriale, che ci offre oggi la liturgia, ci aiuta a cogliere il modo adeguato per accogliere l’invito del Signore che, ogni giorno, ci chiede di essere commensali della sua stessa vita. Invece di guardare alle nostre occupazioni e lasciarci prendere dalle nostre preoccupazioni, siamo chiamati a lasciarci nutrire e, per certi aspetti vezzeggiare, dal nostro Signore che ci fa dono della sua intimità. Le parole del salmista rasentano il sentimentalismo, ma sono l’espressione più forte di ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno di ricevere e di dare a nostra volta: <Io invece quieto e sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre> (Sal 130, 2) Veramente <beato> (Lc 14, 15) è il nostro cuore se sa lasciarsi andare al seno divino che ci nutre con il latte della sua misericordia. Pertanto, non dobbiamo mai dimenticare che siamo nutriti per diventare, a nostra volta, capaci di nutrire in noi gli stessi sentimenti di Dio a favore di quanti possono gustare la sua grazia e la sua benevolenza, solo attraverso i nostri gesti e le nostre parole.
Per questo l’apostolo ci chiede di conformarci alla sua stessa attitudine formatasi – a lungo – nella consuetudine con il Vangelo di Cristo: <Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili> (Rm 12, 16). Il rischio è chiaramente precisato dal Signore Gesù attraverso una parabola che non lascia dubbi di sorta: <Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena> (Lc 14, 24). Il motivo dell’esclusione dei primi invitati si rivela essere, alla fine, il fatto di non avere bisogno di questo invito che, invece, non solo è gradito, ma è necessario a quelli che, infine, affollano la sala del banchetto: <i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi> (14, 21). Questa parola del Signore Gesù può essere certamente intesa a favore di quanti, nel mondo, sono emarginati e non considerati, ma può anche avere una valenza più interiore e spirituale.
Infatti, possiamo pensare a noi stessi, al nostro cuore, alla nostra mente e alla nostra volontà, come gli ambiti in cui, a nostra volta, siamo costretti a decidere se accettare o meno l’invito del Signore che ci chiama a partecipare al suo banchetto di grazia e di misericordia, oppure pensare di non avere bisogno di nulla e di nessuno. Siamo noi stessi quel servo cui viene dato l’ordine tassativo: <Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia> (14, 23). Ogni giorno, attraverso l’ascolto obbediente della Parola, siamo invitati a ricondurre la totalità e la verità di noi stessi a prendere <cibo nel regno di Dio> (14, 15) e a condividere la mensa con tutti. Se agiremo così allora – a nostra volta – faremo della nostra vita un banchetto aperto a tutti in obbedienza all’altra esortazione dell’apostolo: <Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità> (Rm 12, 13). In realtà è proprio attorno al banchetto imbandito dalla misericordia del Signore che possiamo fare la gioiosa esperienza di cui parla Paolo: <Pur essendo molti, siamo membra gli uni degli altri> (12, 5). Se è veramente così e sentiamo veramente così come potremmo dire: <… non posso venire> (Lc 14, 20)?
Deo gratias!