Maledizione

XXVII settimana T.O.

Due testi esigenti sono quelli che la Liturgia ci offre e ci chiede di accogliere quest’oggi. Paolo non esita a dire che <Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi> (Gal 3, 13). Sulla bocca del Signore Gesù troviamo una parola assai dura e, per molti aspetti, sconvolgente: <Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde> (Lc 11, 23). Parole forti che, nella storia, hanno rischiato di creare qualche corto circuito in quella che è la comprensione e la ricezione del Vangelo nel concreto delle nostre vite. Eppure, il messaggio è chiaro: <Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione…> (Gal 3, 10). Con la parabola che il Signore Gesù racconta per cercare di comunicare con i farisei che lo screditano fino ad accusarlo di connivenza con Beelzebùl, ci mette di fronte alle esigenze di una certa chiarezza interiore per poter realmente passare dalla maledizione alla benedizione.

Questo passaggio esige una scelta e una decisione che non può mai abbassare il proprio livello di vigilanza e di attenzione. Non basta rendere la casa del nostro cuore <spazzata e adorna> (Lc 11, 25), è necessario pure tenere custodita la porta perché il male non vi possa più penetrare tanto che <l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima> (11, 26). Questo combattimento interiore da cui nessuno è risparmiato riguarda la tensione inevitabile e mai definitivamente risolta tra l’osservanza fedele e generosa della Legge e la coltivazione di quella libertà e serenità interiore senza le quali persino le osservanze più degne rischiano di renderci schiavi in modo <peggiore>.

Non è facile, ma è comunque doveroso, portare il peso di questa consapevolezza. Nella vita – e in particolare nella vita spirituale – non c’è nulla di scontato, di automatico, di oggettivamente chiaro e definito. Il cammino della verità e della libertà ci obbliga ad una continua capacità di far ritrovare ai nostri gesti e alle nostre abitudini le loro origini più vere e profonde, quelle che motivano e continuamento orientano le nostre esistenze verso il proprio fine. Ciò che permette questo cammino è accettare di entrare nella logica della fede per diventare <figli di Abramo> (Gal 3, 7). Essere figli di Abramo significa accettare di diventare stranieri e pellegrini, comporta accettare ogni giorno di rimettersi in cammino verso orizzonti sconosciuti vivendo più sotto le stelle che al riparo dei nostri tetti e delle nostre convenzioni. Essere discepoli del Signore Gesù significa accettare il paradosso che la benedizione possa e talora debba passare attraverso l’esperienza rude della <maledizione> che ci obbliga a fare il salto pasquale senza il quale non possiamo ricevere <la promessa dello Spirito> (Gal 3, 14).

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