Osare
XXIV settimana T.O. –
Con il centurione siamo non solo chiamati, ma persino accompagnati, attraverso un esempio, ad osare un cammino di avvicinamento al Signore Gesù che, in realtà, ce lo rende vicino più di quanto noi stessi possiamo immaginare o sperare. I due piedi con cui possiamo e dobbiamo osare il passo verso il Signore Gesù sono l’umiltà e la fiducia le quali, se ci avvicinano radicalmente al Maestro, ci tengono pure in quella distanza che permette una relazione ancora più profonda e al riparo da ogni forma di abuso idolatrico: <Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto> (Lc 7, 6). Ciò che meraviglia il Signore Gesù è la capacità di quest’uomo di andare oltre se stesso, e di osare di esporsi ad un modo di concepire e di sentire la vita, diverso da quello a cui è stato da sempre abituato e in cui è stato educato. Il centurione diventa così sotto i nostri occhi l’icona di un’umanità – quella che siamo chiamati a diventare – capace di accogliere i limiti della propria condizione – anche quelli spirituali – senza farsene imprigionare in alcun modo.
Di questa larghezza d’animo che non varca mai la soglia della propria limitazione e che pure sa osare di andare oltre se stesso, si fanno testimoni e garanti proprio i notabili del popolo: <perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga> (7, 5). Il centurione del Vangelo non può che suscitare in noi una seria domanda su quello che è il nostro modo di credere, nel senso della capacità di osare di andare oltre noi stessi… un po’ più in là di quello che siamo e di quello che conosciamo. In tal senso l’esortazione di Paolo a Timoteo è un ulteriore invito ad allargare gli spazi del cuore e della mente passando per la porta di una preghiera profonda, ma mai settaria: <si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini> (1Tm 2, 1). Lo stesso apostolo, verso la fine della sua vita, ritiene questo modo sempre più inclusivo ed ammirativo di vivere la fede come una <cosa bella e gradita al cospetto di Dio> (2, 3).
Quando l’umanità e Dio si incontrano – non senza qualche rischio – sul terreno del desiderio più profondo di vita autentica e piena, allora si rendono veramente possibili delle meraviglie. Ciò accade, soprattutto, quando l’esperienza della sofferenza scava una nuova ed inedita possibilità di lasciare il campo libero all’incontro con un’alterità, una sofferenza capace di rimettere in piedi la nostra speranza. Si tratta dunque di accedere – ogni giorno – alla nostra sofferenza con atteggiamento nuovo esponendo, alla terapia di una parola, tutto ciò che in noi è malato ed è minacciato dalla morte.
L’apostolo Paolo ci aiuta a fare nostro l’atteggiamento del centurione invitandoci prima di tutto ad osare la preghiera e indicandoci come, questa preghiera, deve essere assolutamente larga e capace di includere <tutti> . Maurice Zundel ha un’espressione che sa dare, a questo episodio del vangelo, tutta la sua profondità tridimensionalità interiore: <In un mondo in cui regnasse l’Amore, non ci sarebbero miracoli, perché tutto sarebbe un miracolo>. Potrebbe osare di più e dire: <perché tutti sarebbero un vero miracolo>! Ben se ne accorge il Signore Gesù tanto da sentire il bisogno che tutti se ne accorgano e si lascino interpellare: <Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande> (Lc 7, 9).
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