Stare
B.V.M. Addolorata –
Dopo otto giorni dalla celebrazione della festa della Natività eccoci a contemplare Maria, la madre del Signore, rinascere quale primizia dell’umanità salvata ai piedi della croce. Romano il Melode immagina Maria che incontra il suo figlio mentre viene condotto al Calvario e mette sulle sue labbra questa strana, ma stupenda, domanda: <Dove vai figlio mio? Perché sei così di fretta? Ci sono di nuove delle nozze da celebrare a Cana e tu vi stai andando in fretta per trasformare ancora una volta l’acqua in vino?>. Questo accostamento non fa che mettere in tutta evidenza come <l’ora> (Gv 2, 4) della verità e dell’amore – a cui il Figlio fa accenno alla madre sua a Cana di Galilea – non può che essere quella della passione. In questo istante si compie il segno di cui fu segno il primo gesto compiuto da Gesù proprio su invito della madre che ora deve misurare, con ogni discepolo che accetta di stare accanto a lei fino alla fine, tutte le conseguenze di quella parola sicuramente generosa, ma forse un po’ avventata: <Fate tutto quello che vi dirà>.
Maria, che nel vangelo di Giovanni compare per la prima volta proprio a Cana dove sembra metterlo al mondo permettendogli e quasi costringendolo a manifestarsi, è chiamata – quale simbolo della Chiesa e di ogni credente – a restare fino all’ultimo per accogliere gli inizi della nuova creazione che sgorgano dal cuore trafitto dell’Agnello immolato. Colei che lo accompagna nella sua prima tappa di rivelazione non può che accompagnarlo anche nella sua ultima tappa di piena rivelazione dell’amore.
La presenza di Maria – e non solo di lei, ma quella di altre due donne unitamente al discepolo speciale perché amico – è come il vessillo che si leva attorno a quella croce di cui ieri abbiamo celebrato l’esaltazione e quasi il trionfo. Laddove la Chiesa costantiniana edificava basiliche che segnavano il trionfo della cristianità con tutte le sue luci corredate da inevitabili ombre, una sottile pietà legata ai più poveri e, ancora una volta, alle donne cerca di rammemorare “quegli altri” e soprattutto “quelle altre>” che furono capaci di sopportare il più crudo fallimento di Gesù senza che l’amore si incrinasse minimamente anzi lo dilatò enormemente: <da quell’ora il discepolo la prese con sé> (Gv 19, 27). La madre che sta sotto e presso la croce ci mostra l’amore invincibile che si fa indicibile. Maria ci ricorda che l’amore non intristisce neppure nel dolore più acuto e urlante, ma fiorisce ancora più vigoroso. Maria accompagna il suo figlio fino allo stremo dono della sua vita sapendo portare con lui il peso del fallimento e del ridicolo fino a mescolare le sue lacrime materne al suo sangue effuso.
La memoria di oggi non ci fa più stare come la festa di ieri di fronte alla croce, ma ben più umilmente proprio e solo ai piedi di essa. Maria è quella piccol fiamma che tutto il tormentoso buio del Golgota non può spegnere e che è capace di trapassare la notte più spessa come una spada di luce non abbagliante ma lacerante. Il luogo del supplizio diventa per la presenza di Maria e di quanti si stringono accanto a lei, un santuario, l’unico e vero tempio di cui aveva parlato Simeone, di cui aveva parlato il Signore Gesù. Come dice Charles Peguy: <impossibile che il soffio della morte la spenga>. Il parto di Maria si compie sotto la croce e non c’è nessun travaglio di umanità che sia ormai estraneo alla vita alla passione di Dio.
E noi, come e quanto e soprattutto fino a che punto sappiamo portare il dramma non della fine, ma del fallimento?
Quando l’ABLAZIONE si trasforma in OBLAZIONE
Quando le lacrime diventano acqua di fonte,
Allora, rimane soltanto l’AMORE che ci susurra :
“… Va avanti, ti basta la mia Grazia … “