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I settimana T.O.

La lettera agli Ebrei ci offre un piccolo ma fondamentale criterio di discernimento per comprendere la misura della nostra adesione nella fede che ci permette di godere del riposo quale dono dell’intimità con Dio: <Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo, ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede> (Eb 4, 2). A partire da questo testo della prima lettura della liturgia odierna ci viene lanciato un messaggio secondo cui la fede se è l’esperienza più personale che si possa vivere, è, al contempo, la più comunitaria. Nel Vangelo ci viene non solo confermata questa intuizione, ma ce ne viene donato un esempio: <Si recarono da lui portando un paralitico sorretto da quattro persone> (Mc 2, 3). Stando al racconto evangelico sembra che l’attenzione del Signore, che pure finora si è mostrata più che generosa nei confronti di quanti avevano bisogno di aiuto e di guarigione, sia attratta maggiormente da quel modo di essere <uniti> di quei portatori. Infatti, il Cristo si rivolge al paralitico per liberarlo dalla sua paralisi proprio <vedendo la loro fede> (2, 5).

Nella nostra sensibilità il valore delle scelte e dei sentimenti personali ha, giustamente, un ruolo fondamentale. Nondimeno, la parola di quest’oggi ci ricorda che non tutto e non sempre può essere vissuto in prima persona, pertanto ci possono essere delle situazioni e dei passaggi della vita in cui la nostra volontà e la nostra consapevolezza personale possono paralizzarsi. In questi casi non tutto è perduto, perché la fede degli altri, che si rivela attraverso l’amore verso di noi, può ancora assicurare la speranza fino a creare dei varchi che da noi stessi non potremmo darci: <scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico>. La reazione del Signore ci fa indovinare i sentimenti del suo cuore. Lo chiama infatti <Figlio…> e gli perdona interamente i <peccati> (2, 5).

Il paralitico è per il cuore di Cristo come un bambino che ha bisogno di tutto e che non può portarsi da solo per allattare al mistero di una vita piena. Inoltre, allo sguardo profondo del Signore quest’uomo appare bisognoso di una guarigione ben più profonda che essere semplicemente liberato dalla sua paralisi. Questo avviene sotto gli occhi di tutti eppure, come ci ricorda la Lettera agli Ebrei, non tutti vedono ciò che è sotto lo sguardo di tutti. Anzi! La reazione degli scribi, infatti, è all’opposto di quella della folla: <Bestemmia!> (2, 7). Potremmo dire che gli scribi e i farisei fanno fatica ad entrare in quel dinamismo di fede povera ma condivisa, di cui sono testimoni le <quattro persone> che conducono il paralitico a Gesù. Tanto che per costoro così chiusi in se stessi da non vedere altro che se stessi, risuona la conclusione più tremenda: <Non entreranno nel mio riposo!> (Eb 4, 5). Tutti sappiamo che ciò che riposa il cuore sono l’amore e il perdono! Allora <Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza> (4, 11) che non è affatto quella cui pensano <in cuor loro> (Mc 2, 6) anche gli scribi dei nostri giorni.

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