Vecchio

XIII Settimana T.O. –

Le parole di Isacco ci commuovono non poco e allo stesso tempo sono per noi un ammonimento: <Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua faretra e il tuo arco, va’ in campagna e caccia per me della selvaggina> (Gen 27, 2-3). L’ultimo desiderio di Isacco sembra proprio legato a mangiare un piatto di suo gusto e questo desiderio sembra ottenebrare ulteriormente lo sguardo del suo cuore non sapendo più riconoscere la differenza dei suoi due figli. Sembra che Isacco, fragilizzato dalla vecchiaia, sia reso vulnerabile dal suo desiderio di mangiare della cacciagione. Nulla di male in tutto ciò, eppure non dobbiamo mai dimenticare la necessaria vigilanza sui nostri desideri perché non ottenebrino la nostra capacità di discernimento. Da questo punto di vita la parola del Signore Gesù se relativizza l’ossessiva pratica del digiuno come performance religiosa, rammenta la sua utilità nel necessario processo di chiarificazione che accompagna sempre e tutta la nostra vita: <Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno> (Mt 9, 15).

A questa parola sul digiuno ne segue un’altra: <Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa del vestito e lo strappo diventa peggiore> (9, 16). Per comprendere appieno il senso di questo strappo cui fa riferimento il Signore Gesù possiamo rileggere con attenzione quello che avviene nella famiglia di Isacco. Giacobbe che, con la complicità di sua madre, carpisce la benedizione del padre imparerà dalle prove della vita che la benedizione non è una magia, ma è il primo passo di una trasformazione interiore che esige tutta la generosità del cuore poiché <si versa vino nuovo in otri nuovi> (9, 17). Il cammino di Giacobbe esigerà tempi lunghi di maturazione e di prova per imparare veramente a non rattoppare, ma a creare condizioni di vita adeguate alle necessità, alla libertà e alla dignità di ciascuno. Alla fine della sua vita riabbracciando il suo figlio Giuseppe, che aveva pianto a lungo come morto, forse avrà compreso ciò che stava a cuore ad Abramo nei confronti del figlio Esaù privato, con astuzia, della sua primogenitura.

Il digiuno di cui parla il Signore Gesù è propriamente il segno non di una semplice osservanza imposta dall’esterno come dovere religioso, ma il rimando ad un lavoro ben più ampio di guarigione e di rivitalizzazione interiore che obbedisce ad una sorta di regola inversa a quella che domina la vita dei farisei e persino dei discepoli di Giovanni: <Ma si versa vino nuovi in otri nuovi, e così gli uni e gli altri si conservano> (Mt 9, 17). Sembra che non basti risciacquare gli otri vecchi per riempirli di vino nuovo con il rischio che il profumo e la qualità si alterino, ma è necessario un rinnovamento che sia il più profondo possibile per fare spazio non alla ripetizione della devozione, ma alla novità di una relazione con Dio che rifonda continuamente la vita senza accontentarsi semplicemente di dare un altro <rattoppo> (9, 16).

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