Tesoro

XVII settimana T.O. –

La conclusione delle parabole richiama un’immagina già usata dal Signore Gesù e che gli sembra cara: il <tesoro>! Se il <tesoro nascosto> (Mt 13, 44) è una perla delle parabole evangeliche, siamo invitati a scandagliare come bambini che “giocano ai pirati” il contenuto di questo tesoro dimostrandoci così aperti a crescere nella sapienza: <Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche> (13, 52). Nella consequenzialità delle parabole potremmo dire che il primo passo è quello di investire tutto per poter diventare legittimamente proprietari del tesoro. Solo dopo questa necessaria e ineludibile operazione si può cominciare a frugare per comprendere cosa il tesoro contenga e come farlo fruttare al massimo e al meglio senza dover fare nessuno sotterfugio e potendo operare in piena luce.

La prima lettura ci mostra Mosè alle prese con la costruzione della <Dimora> e quasi intento a ricreare il proprio modo di relazione a Dio a partire dalla nuova situazione che si è creata nel deserto. Tutto ciò se dà all’Altissimo un posto chiaro e centrale nella vita del popolo, altresì richiede un rispetto della trascendenza sempre più attento per salvaguardare le condizioni necessarie per una relazione autentica: <Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora> (Es 40, 35). Questa presenza dell’Altissimo che ricolma la Dimora preparata per la sua presenza diventa il <tesoro> cui attingere ogni giorno e ogni <notte> (40, 38) per continuare, felicemente e saggiamente, il viaggio della vita facendo sì che ogni esodo conosca la sua meta.

Non è un caso che l’evangelista annoti con una certa solennità e rapidità: <Terminate queste parabole, Gesù partì di là> (Mt 13, 53). Ogni parola che riceviamo e ogni contatto che godiamo nella preghiera è un invito a riprendere a camminare con decisione e generosità… senza inutili lentezze. La parabola della rete se ci dice con chiarezza che i pescatori ripongono <i pesci buoni nei canestri> (13, 48) non ci dice invece dove <buttano> i <cattivi>. Verosimilmente li rimettono in mare… nella speranza che diventino migliori o comunque senza ucciderli. L’operazione degli angeli sarà quella di separare <i cattivi dai buoni> ma, forse, nel desiderio e nella speranza che i cattivi possano diventare buoni. In ogni modo siamo chiamati ad imparare l’arte serena dei pescatori che è molto diversa da quella dei cacciatori e dei macellai. Tutto questo esige di imparare molto da Mosè e dalla sua calma meticolosa nel fare ogni cosa così come gli è stato mostrato sul monte senza peraltro lasciarsi prendere né dall’ansia né tantomeno da un pericoloso protagonismo. Inoltre, abbiamo molto da imparare da quello <scriba> senza nome che scopriamo essere <divenuto discepolo del regno dei cieli> e da quel <padrone di casa> capace di fare ordine e distinguere tra le <cose nuove> e le <cose antiche> proprio come gli <angeli> evocati dalla parabola. Insomma, abbiamo molto da imparare.

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