Cento per cento

XXXI settimana T.O. –

Così esordisce Ambrogio di Milano nel commentare il testo del Vangelo di oggi che non può essere gustato in pienezza se non nella memoria della terza parabola che ne completa il quadro: <Non senza motivo san Luca ci presenta di seguito tre parabole: la pecora che si era smarrita ed è stata ritrovata, la dramma che era stata perduta, poi ritrovata, il figlio prodigo che era morto, e poi è tornato in vita. Cosicché, sollecitati da questo triplice rimedio, curiamo le nostre ferite.… Chi sono questo padre, questo pastore, questa donna? Non sono forse Dio Padre, Cristo, la Chiesa? Cristo ha preso su di sé i tuoi peccati, ti porta nel suo corpo; la Chiesa ti cerca; il Padre ti accoglie. Come un pastore, ti riporta; come una madre, ti ricerca; come un Padre, ti riveste. Prima la misericordia, poi l’assistenza, infine, la riconciliazione.  Rallegriamoci quindi che questa pecora, che era perduta in Adamo, sia ripresa in Cristo. Le spalle di Cristo sono le braccia della croce; lì ho deposto i miei peccati, lì, sul nobile legno di questa croce, ho riposato>1.

Tre modi per dire la stessa cosa in modo diverso e ad un livello di profondità crescente. Il primo registro è la questione del numero. Prima di tutti una pecora perduta su cento: uno per cento; poi una moneta su dieci: dieci per cento; e infine – nella parabola che non leggiamo nella Liturgia ma che portiamo nel cuore – un figlio contro un altro figlio, uno su due: cinquanta per cento. A meno che non si tratti, in realtà, del cento per cento, visto che il pastore, la donna e infine il padre misericordioso si coinvolgono interamente e persino paradossalmente nelle loro opere di ricerca e di ritrovamento. La nostra condizione umana è sempre segnata da una certa “perdizione” che la misericordia di Dio continuamente riscatta e reintegra. L’apostolo Paolo lo dice con accenti appassionati: <nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore> (Rm 14, 7-8). 

Nella sequenza delle parabole della misericordia troviamo al centro del trittico una moneta che è un oggetto di valore ma è una cosa inanimata, totalmente passiva e senza coscienza. La prima parabola parla di una pecora, una realtà animata capace di sentire, di vedere, persino di soffrire ma non è né una volpe né un gatto: è una pecora! Solo alla fin troviamo quel figlio – meglio quei figli – che non sono solo cercati dal padre, ma che devono pure lasciarsi trovare esercitando la loro libertà e giocandosi con le esigenze della loro personale libertà e coscienza per poter accedere ad un livello reale di umanità. Tra tutti i particolari di queste parabole possiamo lasciarci conquistare dall’atteggiamento del buon pastore che, in realtà, il Signore Gesù qualifica pensando piuttosto a noi: <Chi di voi, se ha cento pecore… > (Lc 15, 4). Questo tale si avventura e porta le pecore sulle sue spalle quasi regalandole un ritorno all’ovile in prima classe. E poi quella donna che prima di spazzare la casa <accende la lampada> (15, 8). La moneta che sta cercando infatti dovrebbe riflettere la luce e quindi farsi più facilmente trovare. Questa lampada può farci pensare allo Spirito Santo che abita in noi, che ci illumina e ci rivela a noi stessi per fari brillare e continuamente ritrovare l’immagine divina che è incisa nella nostra umanità. Possiamo identificare in questa donna la Chiesa che spazza pur ti far brillare e di ritrovare condividendo la sua gioia con tutte <le amiche e le vicine> (15, 9). In questo contesto la domanda di Paolo trova una risposta che supera interamente i termini della domanda: <Ma tu, perché giudici tuo fratello? E tu perché disprezzi tuo fratello?> (Rm 14, 10). Se lo stiamo cercando non lo stiamo certo né giudicando né, tantomeno, disprezzando, ma lo stiamo amando al cento per cento!


  1. AMBROGIO DI MILANO, Commento al Vangelo di Luca, 7, 207-209 

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