Attendere… pregare
22 Dicembre T.A. –
L’abbraccio tra Maria ed Elisabetta che ci ha riempito il cuore di gioia e di stupore nella liturgia di ieri sembra essere una luce che lascia dietro di sé una scia di gioia intensa o una fiamma ardente che produce una brace che scalda sommessamente. L’abbraccio si fa canto: <L’anima mia magnifica il Signore…> (Lc 1, 46)! La ragione di questa esplosione di gioia non lascia dubbi: <perché ha guardato l’umiltà della sua serva> (1, 47). È come se il cuore di Maria non si potesse mai riempire di se stesso e, in modo del tutto naturale ed efficace, continuamente rimandasse alla presenza di altro – di Altro – nella sua vita. La grandezza sperimentata dalla Madre di Gesù sembra consistere proprio in questa coscienza del proprio nulla da cui l’Altissimo è ancora e sempre capace di plasmare grandi cose, di ricavare nuovi spazi di gloria per la sua creativa misericordia.
Idealmente l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta sembra dilatarsi nel tempo fino a superare le barriere dello spazio. Esso si fa legame con tutte quelle espressioni di gratitudine e di umile esultanza che attraversano la storia. La figura di Anna diventa profezia di alcune attitudini proprie di Maria: ella, dopo averlo impetrato con calde lacrime, <portò con sé Samuele, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo> (1Sam 1, 24). Anna motiva questo gesto con queste parole: <io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore> (1, 26). Anna, la madre di Samuele, e Maria, la madre di Gesù, ci aiutano ad avvicinarci al mistero del Natale con un atteggiamento di preghiera che, se sa chiedere ciò di cui sente il bisogno, non dimentica di saper ringraziare fino a restituire: <Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore> (1, 28).
L’evocazione del gesto di Anna che conduce il piccolo Samuele al tempio di Silo, è un modo per non dimenticare che l’incarnazione trova il suo senso pieno nel mistero pasquale. Così la gioia del Natale non può in nessun modo essere confusa con una letizia dimentica delle esigenze del dono della propria vita che è il senso più profondo e più vero della rivelazione di Dio in Cristo Gesù. Davanti all’accoglienza di Elisabetta che riconosce nella giovane parente affaticata dal viaggio nientemeno che <la madre del mio Signore> (Lc 1, 43), la reazione di Maria è di restituire interamente la gloria che le viene riconosciuta a Colui dal quale viene ogni grazia e si mette così a cantare l’immensità della misericordia del Signore con la coscienza di essere sempre e solo <serva> (1, 48). L’opera della preghiera che accompagna e guida la nostra vita non è altro che un esercizio quotidiano di consapevolezza che trasforma, giorno dopo giorno, la nostra vita in un dono ricevuto e continuamente ridonato. Pregare è sempre riconoscere che la nostra esistenza se ci è interamente affidata, non è per nulla per noi stessi.




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