Accogliere… con sobrietà

NATALE del SIGNORE 

La ricchezza dei testi liturgici cui siamo abituati per accompagnare la Veglia di Pasqua come una sorta di cascata dei Parola di Dio attraverso le cui acque si viene purificati per riprendere il proprio cammino battesimale la si ritrova pure, con una certa abbondanza attraverso le letture che ritroviamo nelle “quattro Messe” di Natale. In questa ricchezza una parola può fare da filo rosso per entrare in modo adeguato nel mistero e non arrestarsi, invece, al livello della “ricorrenza”. L’apostolo Paolo parla di <sobrietà> (Tt 2, 12). Questo termine, tanto caro alla filosofia antica richiama, non la mortificazione, bensì la misura da avere in tutte le cose. Il Natale del Signore ci fa contemplare il mistero dell’incarnazione proprio come accoglienza serena del limite della nostra carne e della nostra storia a cui non siamo chiamati a sottrarsi bensì in cui siamo invitati a giocarci fino in fondo personalmente e in modo generoso in relazione a tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità.

La lettura del prologo di Giovanni nel giorno di Natale è come se desse voce al bisogno di raccontare la storia dell’amore tra Dio e la nostra umanità non solo sin dall’inizio, ma persino prima dell’inizio. Quando viviamo dei momenti particolari, tristi o gioiosi che siano, abbiamo bisogno dir raccontare ancora una volta quello che forse già tutti sanno, ma che desideriamo comunque ridire. Il Natale è una festa molto cara ai bambini e come adulti potremmo chiederci come trasmettere veramente il senso profondo di questa festa. Nel mistero dell’incarnazione contempliamo lo stupendo lasciarsi costringere di Dio nelle fasce della nostra umanità: per questo non c’è più bisogno di vergognarsi di essere uomini e donne così come siamo. In una realtà che costringe le giovani generazione sotto una pressione di performance che talora può ammalare le persone più fragili, il Natale ci permette di poter diventare messaggeri di un annuncio meraviglioso che possiamo riprendere con le parole di Leone Magno: <ricordati della tua dignità!>.

Se nella notte di Natale si fa sentire la voce meravigliosa degli angeli, al mattino di Natale ci ritroviamo da soli con i pastori e con Maria e Giuseppe accanto al bambino, in una quotidianità fatta di piccole cose, di cose perlopiù semplici e scontate. Eppure, questo è il grande annuncio del Natale per tutti e per ciascuno. Riscoprire nella nostra realtà di ogni giorno il più grande regalo che abbiamo ricevuto e che possiamo donare. Recuperare gagliardamente la bellezza difficile ma stupenda di essere creature. La lettera agli Ebrei ce lo ricorda con un’immagine forte facendo per ben due volte menzione degli <angeli> (Eb 1, 4. 6) chiamati ormai a prostrarsi e adorare la carne del Verbo quasi dovendo imparare da questi <pastori> (Lc 2, 8) cui portano il grande annuncio della nascita del <Salvatore> (2, 11). I pastori sono coloro che possono perdere tempo e sono disponibili a fare una deviazione nel loro cammino assieme alle greggi. Chissà quanto anche noi siamo disposti a lasciarci disturbare da un annuncio che ci chiede di lasciarci visitare e fare visita. I pastori hanno dei programmi assai sommari e legati a molte incognite che li rendono più disponibili e interiormente distaccati. Da loro dobbiamo imparare e con loro siamo chiamati a metterci in cammino <fino a Betlemme> (2, 15).

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