Accogliere… la vita

Santa Famiglia 

Bisogna riconoscere che meditare il mistero della Santa Famiglia non solo non è facile, ma può rivelarsi persino ambiguo. Il rischio è quello di proiettare sulla famiglia di Nazaret i nostri stereotipi, oppure farne una sorta di salva-icona per neutralizzare e sublimare quelle che sono le nostre ferite che generano, persino a nostra insaputa – ma non senza la nostra complicità – una lunga genealogia di paure da cui cerchiamo di metterci al riparo. La celebrazione liturgica è un invito a non proiettare sulla famiglia di Nazaret i nostri desideri, ma bensì a suscitare il desiderio di farci ispirare in quella che è la nostra realtà di relazione, sapendo che, l’unica cosa che veramente accomuna le nostre esperienze a quella della famiglia in cui il Verbo fatto carne è cresciuto, non è l’unicità e l’irrepetibilità – per eccellenza – di privilegi, ma il dramma della vita di ognuno, un dramma che non si ripete mai.

Possiamo porci alcune domande guardando a Gesù, Giuseppe e Maria è questa: su che cosa si fonda la loro famiglia? Rileggendo i testi drammatici con cui l’evangelista Matteo ci parla dell’infanzia di Gesù – la pericope odierna è ritagliata attorno all’episodio terribile e commovente della strage degli innocenti – possiamo osare di dire che la famiglia di Gesù si fonda sulla vita? In che senso e fino a che punto? Infatti, sin dal primo inizio, la <nascita di Gesù Cristo> (Mt 1, 1) si presenta come un evento che richiede una capacità e una volontà serena e forte, necessaria per non accondiscendere più alle semplici prescrizioni della Legge, ma alle prescrizioni talora più gravose della vita. In poche manciate di versetti, vediamo che Giuseppe è chiamato – se pur sostenuto – a fare scelte difficili la cui gravità paterna è ben indicata dall’assoluta mancanza di parole. Quell’<opera buona verso il padre> (Sir 3, 14), di cui ci parla la prima lettura e di cui non abbiamo testimonianza diretta ed esplicita nei Vangeli da parte di Gesù verso Giuseppe, è invece attestata ampiamente da parte del padre verso <il bambino e sua madre> (Mt 1, 14).

La famiglia fondata sulla vita, che è quella in cui il Signore Gesù impara ad affrontare la vita, non è esente dalla fatica e dal rischio,pur potendo contare, come diceva il Cardinal Newman, su <tanta luce quanto basta al primo passo>. Nell’iconografia tradizionale non è pensabile una fuga in Egitto che non abbia anche un asino. Nel testo di Matteo non se ne parla, ma forse è una reminiscenza di ciò che accadde in uno dei momenti più difficili della vita di Abramo quando, partendo per sacrificare il suo amato Isacco: <sellò l’asino> (Gn 22, 3). Oltre e ben più della figura di Abramo, nel cuore di Matteo è sempre presente la figura di Mosè, cui fa riferimento esplicito l’evangelista Giovanni (1, 17). Mosè è la grande guida della Pasqua del popolo di Dio che si lascia dietro le spalle la schiavitù dell’Egitto proprio laddove Giuseppe – quasi accogliendo una pasqua al contrario – deve condurre Gesù per farlo scampare alla morte. Una famiglia fondata sulla vita non può che essere aperta alle continue e inattese pasque nella vita e questo vale per ciascuno di noi. Contemplare il Verbo fatto carne ci fa sentire meno soli: la sua piccolezza, la sua fragilità, la sua povertà, le sue lacrime, i suoi timori e le sue speranze, sono per noi la famiglia, così che ogni esperienza d’amore, anche la più difficile o la più incomprensibile, è una pagina di Vangelo. 

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