Accogliere… la pienezza e l’inizio

Ottava di Natale

La Colletta della liturgia ci raggiunge nei nostri sentimenti più profondi e, al contempo, ci porta oltre le nostre emozioni per darci l’audacia di nuove decisioni: <Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo>. Potremmo mutare la congiunzione in una copula verbale tanto da dire che <l’inizio è la pienezza>! Questo vale anche al contrario, tanto da poter dire che <la pienezza è l’inizio>! Certo si tratta della <vera fede> che si riassume nelle parole che riascoltiamo ancora una volta: <E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi> (Gv 1, 14). L’incarnazione del Verbo è magnificamente inizio e pienezza, proprio perché inaugura quel movimento ancora più segreto ed interiore che dovrebbe rendere presente il Verbo dentro di noi, tanto da farlo presente al mondo, di cui Egli è la <luce vera> (Gv 1, 9), attraverso la concretezza – la carnalità – del nostro vissuto.

Nella prima lettura, le parole dell’apostolo ci ricordano come, non solo l’ultimo giorno dell’anno, ma ogni giorno e momento della vita sono <l’ultima ora> (1Gv 2, 18). Per questo sono l’unica <ora> in cui possiamo testimoniare la nostra resistenza a tutti quegli <anticristi> che abitano, non solo gli anfratti tenebrosi della storia, ma abitano pure il nostro cuore. Nella predicazione dell’autore delle Lettere di Giovanni, l’anticristo è ciò che si oppone alla logica e al respiro dell’incarnazione come luogo, non solo privilegiato, ma imprescindibile, della nostra esperienza di fede secondo la parola dell’evangelista: <Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato> (Gv 1, 18). Per questo ci viene ricordato che non abbiamo alcun bisogno di fare appello a percorsi di “spiritualizzazione deincarnata”, ma che il nostro cammino di <vera fede> si fa nella realtà del nostro corpo, del nostro vissuto concreto, delle nostre sfide quotidiane che ci chiedono di abitare il mondo, alla stessa maniera di come la luce abita le tenebre, vincendole senza sopprimerle: gentilmente e amabilmente.

Un altro anno civile si conclude e la tentazione sarebbe quella di fare delle valutazioni senza dimenticare di fare, contemporaneamente, dei pronostici augurali. Fu la stessa tentazione di Cesare Augusto quando indisse il suo universale censimento, così come era stata la tentazione dello stesso Davide: contare, misurare, valutare. Il mistero del Natale del Signore, di cui celebriamo l’Ottava, si propone come contrappunto alla logica della contabilità, per aprire i nostri occhi sull’abisso di quella <grazia su grazia> (Gv 1, 17) che si può sperimentare solo nell’accoglienza dell’“Imprevisto-Imprevedibile-Improbabile” che si è fatto carne in quel Bambino di Betlemme che, come tutti i bimbi, vive di solo presente e non riesce a concepire né il passato né il futuro. Entriamo allora nella palpitazione e nella respirazione del Verbo fatto carne e, come Lui, diventiamo pura attesa e semplice gratitudine per la vita, volgendoci alla culla in cui sta nascendo – ancora – la nostra divina libertà.

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