Attendere… accanto
II Domenica di Avvento –
Sono molte le immagini tratte dal mondo della natura che accompagnano la liturgia di oggi aiutando ciascuno di noi a varcare e a onorare questa seconda tappa del cammino di avvento. Il profeta Isaia ci parla dapprima di un <germoglio> e ci dice che esso <spunterà dal tronco di Iesse> (Is 11, 1). Davanti a questa immagine possiamo pensare a noi stessi come a dei tronchi chiedendoci se portiamo ancora nel profondo del nostro cuore la minima speranza che ancora la nostra vita possa germogliare aprendosi a rinnovata segni ed espressioni di vita. Troppo spesso rischiamo di confondere l’appello e il dovere costante e incessante della conversione con una sorta di diminuzione della vitalità. In realtà è esattamente il contrario: il dinamismo della conversione comincia sempre con una fase di purificazione che non ha niente a che vedere con l’idea di mortificazione bensì è un modo per estirpare tutto ciò che impedisce l’insorgere di nuovi percorsi e di rinnovati cammini. Proprio come si fa in primavera, quando si comincia a ripulire l’orto da tutte le sterpaglie per poterlo riseminare. Così possiamo accogliere la parola conclusiva del vangelo di questa domenica come una grande promessa e non come una minaccia che ci impaurisce e ci fa scappare: <Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile> (Mt 3, 12).
All’immagine vegetale, il profeta Isaia ne accosta una animale! L’accoppiamento di alcuni animali, che in natura sono accomunati dalla minaccia degli uni e dal timore degli altri, diventa per il profeta il modo per annunciare un’era nuova che viene espressa da due termino che fanno tutta la differenza: <accanto> e <insieme>! Si legge che <il leopardo si sdraierà accanto al capretto> e si aggiunge che <il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà> (Is 11, 6). Al colmo della visione e della speranza si dice che <il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso> (11, 8). Vi è un’immagine giocosa che dice bene che cosa il Regno di Dio è capace di portare come dono alla nostra storia di uomini. È come se finalmente tutti possiamo permetterci di tornare a quello stato di innocenza che è la mancanza di paura gli uni degli altri. Gli zoologi dicono che gli animali sanno riconoscere i piccoli delle altre specie e normalmente li rispettano.
Questo forse non è sempre vero, ma rimane assolutamente vero che il nostro Dio nel mistero della sua incarnazione non solo si mostra sensibile ai piccoli, ma si è fatto lui stesso così piccolo da metterci in condizione di prenderci cura di lui affidandosi alle nostre mani. L’annientamento di Dio non fa che aprire la nostra umanità ad un addomesticamento che permette di vivere ciò cui invita pressantemente l’apostolo: <Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio> (Rm 15, 7). Un Dio che si è fatto <servitore> (15, 8) ci permette di vivere gli uni <accanto> agli altri senza rinunciare alla nostra “specie” – ognuno ha una sua “animalità” caratteristica – senza che questa minacci la vita degli altri, anzi se ne fa custode. A partire da queste suggestioni cerchiamo di accogliere ancora una volta l’invito: <Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino> (Mt 3, 2) a condizione che sappiamo vivere <accanto> e <insieme>.




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