Attendere… è dolce
II settimana T.A. –
Le parole del profeta e quelle del Signore Gesù risuonano come una vera e propria cospirazione perché il nostro cammino si faccia sempre più <dolce e leggero> (Mt 11, 30). Isaia ci mette di fronte ad una possibilità che può regalare alla nostra esistenza un senso di sollievo e di serenità: <quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi> (Is 40, 31). Dal canto suo Gesù invitandoci ad andare verso di lui non dimentica di accoglierci per quello che siamo senza escludere nessuno dei pesi della vita che ci gravano il cuore: <Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro> (Mt 11, 28). Il Signore non si accontenta di attirarci verso di Lui, ma ci promette di farsi carico di tutto ciò che portiamo dentro il cuore e nelle pieghe più riposte della nostra esistenza. Quando il cammino si fa oscuro e il peso lo si avverte come eccessivamente pesante, non è forse perché decidiamo di portare da soli il peso e di fare da soli – troppo isolati – il cammino?
La parola del profeta ci ricorda, invece, come e quanto i nostri cammini e i nostri pesi non siano per nulla estranei al Creatore: <Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto> (Is 40, 14). Perché potessimo sperimentare fortemente questo aiuto, il Verbo si è fatto carne, si è fatto uomo per aggiogarsi a noi e tirare con noi, per preparare al meglio i terreni della nostra vita a ricevere i semi della gioia, della pace, della serenità. Chi mai potrebbe immaginare, guardando il bambino che contempleremo nel presepio, che egli sia venuto per aiutarci nel grande lavoro di essere e diventare sempre più terreni fecondi di umanità? Eppure, la silenziosa presenza del bue e dell’asinello che, tra poco, metteremo in bella vista nei nostri presepi, ce lo ricordano in modo dolce e, allo stesso tempo, indimenticabile.
La disponibilità del Signore a farsi compagno di tribolazione e sostenitore di speranza, obbliga ad un serio e rigoroso discernimento per comprendere quando alle fatiche normali e imprescindibili della vita ne aggiungiamo, più o meno consciamente, di inutili e dannose. Mentre i nostri passi si avvicinano ad una rinnovata contemplazione del mistero di un Dio che si fa bambino, ci viene richiesto un passo ulteriore di lucidità su noi stessi assolutamente necessaria per compiere quei passi di carità cui siamo chiamati. Il primo passo sembra quello di accogliere il fatto di essere così spesso <stanchi e oppressi>. Il secondo passo è quello di accogliere di essere sollevati e confortati per poter, a nostra volta, confortare e sollevare in modo che per tutti si compia la profezia: <Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti> (Is 41, 18). Possiamo vivere questa giornata cullando dentro di noi la parola del salmista: <Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature> (Sal 144, 9).




Nella mia infanzia ho visto i buoi aggiogati in coppia trascinare l’aratro per dissodare i campi. Forse così comprendo meglio la frase: ” prendete il mio giogo che è leggero”. Il giogo si porta assieme ad un altro. È condiviso, non si può mai portare da soli. Gesù ci vuol dire che lui è con noi sempre nelle difficoltà della vita. La mia fede è questa fiducia di camminare con lui? Contiene questo abbandono?