Buono!

XX settimana T.O. –

Nella Liturgia della Parola che ci accompagna in questi giorni, si respira quasi una certa urgenza. Non possiamo certo dimenticare la risposta che il Signore Gesù ha dato a quel giovane che prima lo interroga e poi se ne va triste per la sua strada: <Buono è uno solo.> (Mt 19, 17). Questa immagine sembra ora ritornare in modo ancora più forte quasi come una divina provocazione lanciata verso il nostro modo di sentire e concepire i rapporti: <Oppure sei invidioso perché io sono buono?> (Mt 20, 15). La bontà di Dio si esprime in una capacità di andare oltre il merito per guardare invece al bisogno di ciascuno fino a saperlo ricolmare in pienezza. Ciò che viene detto dal Signore Gesù nella parabola non fa che confermare ciò che viene intuito dalla parabola che troviamo nella prima lettura ove: <Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi> (Gdc 9, 8). Quella degli alberi che camminano sembra un sogno che rimane sospeso nell’inconscio umano da sempre tanto da comparire in molte fiabe antiche e moderne.

Gli alberi in realtà si rifiutano tutti di regnare sui loro simili perché sono ben paghi della loro realtà. Alla fine solo il rovo si lascia corrompere per così dire da se stesso e dalla sua propria stoltezza: <Se davvero mi ungerete su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano> (9, 15). Se mettiamo in relazione le due parabole potremmo arriva a dire che gli operai della prima ora i quali nel ritirare il loro salario <mormoravano> (Mt 20, 11) si comportano proprio come il rovo. Infatti, sembra che non si siano resi conto del dono che è stato loro concesso e invece di essere grati sono infastiditi dalla grazia che è stata usata anche agli altri.

Spesso ci identifichiamo con i primi chiamati a lavorare nelle vigna, ma, forse a ben guardare, siamo tutti un po’ ritardatari e <senza far niente> (20, 6). La cosa più importante è che il padrone della vigna ci ha presi a giornata noi che siamo stata scartati e non siamo stati assunti da nessun altro. Vivere in questa coscienza e gratitudine dovrebbe cambiare il nostro modo di guardare e di valutare gli altri. Il <rovo> di cui ci parla la prima lettura è così diverso da quel <roveto> che arde senza consumarsi e soprattutto senza consumare chi si avvicina ma diventando, al contrario, luogo di relazione e di rivelazione. Il fuoco della bontà non brucia ma cuoce, mentre la gelosia e l’invidia non possono che consumare fino ad annientare. Alla fine dell’apologo narrato nel libro dei Giudici proprio il rovo, che non è nemmeno degno di essere chiamato albero, accetta di porsi come re degli alberi portando tutto e tutti e alla rovina. Ciò che manca al rovo è la saggezza di riconoscere di non essere un albero e di agire per questo diversamente dagli alberi, senza entrare in competizione con loro e tenendosi serenamente al suo posto.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *