Intimo

XXIX settimana T.O. –

Le parole dell’apostolo Paolo ci portano lontano, anzi, ci riconducono molto vicino dando contorni precisi a quel combattimento interiore che così tanto ci affatica fino a stremare la speranza: <io so che in me, cioè nella mi carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo…> (Rm 7, 18). Sono parole che ci toccano e se, per molti aspetti, ci consolano perché ci fanno sentire meno soli e meno “difettosi”, al contempo radicalizzano ulteriormente la ricerca delle vie per poter vivere in pienezza la nostra vocazione alla pace e alla felicità. Continuando nella sua “confessione”, Paolo arriva infine ad evocare un luogo interiore da cui si può sempre ricominciare a sperare: <Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra> (7, 21-23). Per quanto il combattimento possa essere duro ed esigente e i momenti di caduta possano reiterarsi, siamo chiamati ad aggrapparci come fosse il timone della nave della nostra esistenza alla consapevolezza di essere abitati nel profondo del nostro cuore – nell’<intimo> – da una presenza che ci libera dalla paura di essere limitati e ci apre gli orizzonti di una grazia capace di ricreare, ogni giorno, la decisione a non soccombere a noi stessi e ad andare oltre noi stessi: <Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!> (7, 25). 

Come ricorda un predicatore dei nostri giorni: <Animati dallo Spirito di Cristo, siamo chiamati ad essere “guetteurs” di aurore, sentinelle dell’amore, segni del regno e dell’amore di Dio che feconda lentamente la nostra terra. Per vocazione i discepoli di Cristo, uomini e donne, siamo dei vigilanti che discernono in modo acuto tutto ciò che ferisce e paralizza la nostra umanità tanto da vedere ciò che gli altri non colgono, soprattutto quanti si sentono esclusi dall’amore e dalla vita>1. In questa direzione possiamo accogliere in modo liberante la parola del Signore Gesù: <E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?> (Lc 12, 57). Se la parola del Signore può sembrare dura è al contempo una parola che ci restituisce tutta la nostra libertà di intelligenza, di valutazione, di scelte per non essere né vittime né spettatori della nostra stessa vita. Da questo punto di vista possiamo dire che il primo passo dell’intelligenza e del coraggio è la lucidità e la capacità di scegliere in modo adeguato al reale. Tra tutti gli esempi possibili inerenti alla complessità della vita viene ricordato quello più consueto e doloroso che è il conflitto con i fratelli: <lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice> (Lc 12, 58). 

Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura. Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso dell’inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Questo sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta (Gaudium et Spes 4).


1. M. HUBAUT, Un monde en quete de sens, Cerf, Paris 2013, p. 203. 

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