Luogo

XVII Domenica T.O.

Lasciamoci toccare profondamente dall’immagine che apre il vangelo di oggi e, come quel discepolo senza nome che porta il nome di noi tutti, sostiamo in contemplazione: <Gesù si trovava in un luogo a pregare…> (Lc 11, 1). Ancora oggi il Signore Gesù si trova in ogni luogo della nostra vita e lo abita con la sua preghiera. Essa è il segno della sua attenzione verso ciascuna delle nostre esistenze. Quando pensiamo alla preghiera facilmente immaginiamo subito una interminabile lista di richieste, il vangelo invece ci insegna che la preghiera è prima di tutto uno sguardo: uno sguardo su Gesù che ci aiuta ad assumere uno sguardo sul Padre che ci fa, a nostra volta, capaci di uno sguardo non più sui nostri bisogni e le nostre necessità, ma su quelli di coloro che – la condivisa figliolanza – ci affida come fratelli. La risposta di Gesù è semplice e immediata: <Quando pregate dite <Padre…> (11, 2). L’antica regola per i cristiani prevede e prescrive che si reciti la preghiera del Signore tre volte al giorno. Per gli antichi sembra quasi che basti questa triplice ripetizione quotidiana come preghiera del buon cristiano. La nostra preghiera cristiana non si differenzia dalle altre per le parole che contiene, ma per la conversione profonda e continua che presuppone e continuamente accompagna.

Ci viene incontro la figura di Abramo il quale, venuto a sapere che il Signore sta andando a distruggere le città di Sodoma e Gomorra, intercede audacemente per la loro salvezza. Abramo ha appena accolto la visita di tre misteriosi viandanti all’ingresso della sua tenda ove vive nella semplicità e nell’apertura ad ogni passaggio e ad ogni visita possibile. La vita sotto le tende è una vita dura e – al contempo – libera. Infatti, non mette in conto di poter difendere molto, ciò che può fare è solo di esporsi, massimamente, all’incontro. Sodoma e Gomorra sono città fatte di pietra e ormai cinte di mura, diremmo oggi che sono città blindate dove lo straniero e il diverso non sono accolti e, se vi   accolti, rischiano di essere abusati. Il Signore Dio va a riportare le città al deserto per salvare gli uomini dalle loro chiusure.

Davanti a quello che sta per succedere, Abramo non pensa a se stesso, né si premura di essere rassicurato dal fatto di poter scampare a quello che sta per accadere, ma si lancia nell’intercessione. Pertanto, a un certo punto si arrende, non riesce ad andare oltre i <dieci uomini>… e tutti si tace! L’apostolo Paolo ci svela come, nel mistero pasquale del Signore Gesù, l’intercessione di Abramo ha portato il suo frutto più maturo perché il Signore ha condotto all’estrema conseguenza la sua intercessione: lui, il Signore Gesù, ha rischiato in prima persona ed ha pagato il prezzo della preghiera con l’offerta della sua stessa vita. Nel vangelo le parole sulla preghiera si fanno parabola e il modo con cui ci si rivolge a Dio chiamandolo <Padre>, diventa, subito dopo, un monito per noi: <Quale padre…?> (Lc 11, 11). Ogni volta che preghiamo il Padre siamo chiamati non ad aspettarci da Lui qualcosa, ma a diventare come Lui capaci di dare tutto. Siamo noi ad essere padre, madre, fratello e amico per i nostri fratelli e sorelle in umanità. Allora la preghiera, lungi dall’essere un modo gentile per tirarsi fuori dalla mischia, è, in realtà, una bomba che può cambiare radicalmente la storia, ma non senza aver prima cambiato profondamente il nostro cuore. Pertanto, diventa chiara la difficile conclusione: <… lo Spirito Santo…>! È Lui che ci aiuta a discernere e ad incarnare la nostra conformazione a Dio che è Padre secondo il cuore di Cristo Signore.

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