Severamente
XXV settimana T.O. –
Sembra proprio che, a distanza, il Signore Gesù si lasci toccare – e quasi interpellare – dal desiderio che Erode nutriva di <vederlo> (Lc 9, 9). Come è stato evocato nella meditazione di ieri, questo desiderio sarà coronato al mattino della Passione, quando il Signore sarà condotto, per ordine di Pilato, davanti ad Erode che non sarà in grado di vedere in Lui nulla di quello che aveva immaginato. Il Signore Gesù, con la sua consueta e acutissima sensibilità, si rivela capace di prendere in seria considerazione persino il desiderio di Erode e ne fa l’occasione per interrogare i suoi discepoli sulla sua identità, dopo essersi interrogato, profondamente e personalmente. Infatti, il contesto della domanda è esplicitamente e chiaramente delineato da Luca, come in altre occasioni importanti del suo ministero e della sua rivelazione al mondo, ed è sempre preceduto da una presa di coscienza personale: <si trovava in un luogo solitario a pregare> (9, 18).
Dalla preghiera e nella preghiera nasce la duplice domanda: <Le folle, chi dicono che io sia?> (9, 19) cui segue quella più diretta: <Ma voi chi dite che io sia?> (9, 20). Normalmente quando simili domande vengono poste, sia nel segreto e nell’intimità del cuore, come in modo pubblico, si presume che ci sia un bisogno di immagine e di visibilità. Per il Signore Gesù è esattamente il contrario: <Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno> (9, 21). La severità è di rigore, perché troppo facile è il rischio di cadere in qualche grave malinteso nella comprensione del mistero di Cristo e nell’esperienza dell’essere suoi discepoli. Ancora oggi non è raro che il sentimento religioso si ammanti di un’aura miracolistica e di manifestazioni sensazionali, non raramente pagate col prezzo di pratiche ascetiche assai esigenti, ma che rischiano di contraddire il senso profondo del mistero pasquale.
Pietro risponde alla domanda di Gesù con quel solenne e verissimo: <Il Cristo di Dio> (9, 20)! Se l’apostolo dice la verità sull’identità del Signore, usa comunque un linguaggio mai sufficientemente purificato da attese messianiche gloriose e risolutorie di problemi e di angosce che, in realtà, non potrebbe portare che a delusione. Mentre le folle, nella stessa logica mistificante ed empia, così simile a quella di Erode che dice come Gesù possa essere <uno degli antichi profeti che è risorto> (9, 19), il Signore Gesù afferma invece di dover <venire ucciso e risorgere il terzo giorno> (9, 22). In tal modo il Maestro apre gli occhi di suoi discepoli su un cammino che è tutto da vivere e da morire. Questo ha delle conseguenze assai importanti per la stessa vita dei discepoli che desideriamo diventare: la relazione con il Signore Gesù esige, anche per noi, un processo che non sta dietro alle nostre spalle, ma è davanti a noi e non può che essere percorso <severamente> (9, 21). Ciò che il profeta Aggeo dice in riferimento alla costruzione del Tempio, può essere applicato al lavoro interiore di conformazione al mistero pasquale di Cristo, un lavoro che esige molto più <coraggio> (Ag 2, 4).
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