Attendere… il giusto

IV Domenica di Avvento 

La liturgia di questo Avvento ci fa varcare l’ultimo tratto del nostro cammino verso il Natale in particolare compagnia di Giuseppe, che le Scritture ci presentano come lo <sposo di Maria> (Mt 1, 16) in quanto era un uomo <giusto> (1, 19). Il ruolo di Giuseppe, nel cammino della storia della salvezza, è quello di accogliere e prendere con sé il Verbo fatto carne e non semplicemente e solamente per dargli un’apparenza di legalità, ma perché fosse realmente e concretamente parte della nostra umanità, il cui <sposo> (Is 54, 5) è il Signore che, come tale, si accosta a noi e di noi vuole prendersi cura (Ef 5, 29; Mc 2, 19). Il Vangelo secondo Matteo ci mette di fronte alla nascita del Salvatore come ad un momento critico e difficile che fa precipitare il giusto Giuseppe in una profonda crisi, una crisi  che sollecita la nostra umanità ad immaginare un modo nuovo di essere giusti, un modo  che non corrisponde affatto all’impersonale e letterale osservanza della legge per trovare rassicurazione alla propria paura di rischiare, ma per essere in grado di “ag-giustare”, nel senso più bello e consapevole, gli eventi della vita, così da porli e viverli nel mistero della volontà di Dio.

Veramente Giuseppe vive con coraggio – e con tutta la fatica necessaria – quella doppia fedeltà all’uomo e a Dio che sarà il contenuto più forte dell’annuncio di quel <vangelo di Dio> (Rm 1, 1) rivelatosi in Cristo Gesù e di cui è chiamato ad essere veramente padre. Senza neanche una parola, ma con dei gesti la cui eloquenza è inesauribile, Giuseppe vive in prima persona quel Vangelo che Gesù rivelerà al mondo attraverso la sua persona a cui, questo padre silenzioso – ma non assente – darà il nome nel duplice ruolo di un modo di conoscere se stessi e di darsi a conoscere dagli altri: <lo chiamerai Gesù> (Mt 1, 21). Quasi per far risaltare ancora più fortemente – e per  stridente contrasto – l’atteggiamento così evangelico di Giuseppe, la prima lettura rievoca la storia di Acaz, la cui apparente timidezza nel chiedere <un segno dal Signore> (Is 7, 10) è – in realtà – la maschera della sua scaltrezza e della sua scelta di non fidarsi di Dio, ma dei suo stessi nemici – gli Assiri – a cui chiede protezione, sacrificando sull’altare dei loro dèi il suo figlio. Acaz per tentare di salvare se stesso, percependosi un tutt’uno con la sua regalità, accetta di sacrificare il suo figlio sull’altare dei suoi nemici senza né confidare né abbandonarsi a Dio. Giuseppe fa esattamente il contrario: davanti alla scelta tra il suo proprio onore e quello della madre a cui è legata la vita di questo misterioso bambino, sceglie di stare dalla parte del più debole con un amore capace di <mettersi contro se stesso>1

Tutto ciò non può che avvenire se non <per opera dello Spirito Santo> (Mt 1, 18. 20)! Possiamo dunque chiederci se l’intervento dello Spirito si riferisce all’opera di Dio che si fa accogliere nel seno di una donna già promessa, rendendola ancora più sposa, o alla straordinaria capacità di amare di un uomo, il cui modo è così assoluto, da trasformare tutto il suo eros in un fuoco d’amore che, senza annullare il proprio desiderio dell’altro, lo traduce in puro desiderio di bene per l’altro. Così commenta una monaca dei nostri giorni questo sublime momento in cui l’amore di Giuseppe arde senza consumarsi: <Giuseppe era piombato nel sonno come nella morte, devastato dalla decisione che aveva appena preso: tenebra dell’assoluta fiducia in Dio, abbandono del giusto che chiude gli occhi, non per dimenticare, ma per fare spazio al Totalmente Altro. Il falegname dormiva come un albero sventrato dalla folgore con il cuore sovraccarico di sofferenza. Spogliato di tutto era ormai pronto per l’inaudito dopo che la terra delle sue radici si era come crepata scoprendo che la sua fidanzata era gravida di un segreto fatto di carne e di sangue. Da giorni ormai, un uragano scuoteva le sue certezze, attizzando quel fuoco che gli consumava le budella… ed ecco che senti di essere avvolto da una brezza leggera, accarezzato da un battito d’ali…>2. Chiudiamo gli occhi e chiediamo anche noi la carezza di cui ha bisogno il nostro cuore in attesa perché tutto sia più “giusto”.  


1. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie.

2. Sr Bénédicte de la Croix, in Prions en Eglise, 288 (Dicembre 2010) pp. 127-128.

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