Attendere… radunarsi

III settimana T.A. –

Cominciamo il cammino dell’ultima parte di questo Avvento ritmato dalle invocazioni “O” che dicono tutto il desiderio della Chiesa di preparare il proprio cuore alla ri-accoglienza della carne di quel Verbo che ancora si fa carne e chiede di essere riconosciuto e accolto come l’ospite di riguardo non perché possa imporsi, ma per la sua fragilità e debolezza che onora la nostra umanità. Le parole che Giacobbe rivolge ai suoi figli raccolti attorno al suo letto di morte possono intonare, come fosse un canto, la nostra marcia di avvicinamento al Natale: <Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe> (Gn 49, 2). Questo tempo di preparazione può essere dunque ritmato da due desideri fondamentali: radunarsi e ascoltarsi! Non è forse questo il simbolo più forte e commovente di questi giorni in cui ci scambiamo gli auguri e cerchiamo di preparare al meglio gli appuntamenti natalizi in cui cerchiamo, in tanti modo, di radunarci per ascoltarci? Le parole che Giacobbe rivolge ai suoi figli richiedono non solo di radunarsi e di ascoltarsi, ma di fondare questa operazione di reciproca accoglienza su un fondamento: <ascoltate Israele, vostro padre!>. Per ritrovarsi in verità e regalarsi reciprocamente un momento di ascolto autentico, è necessario fare memoria di ciò che ci ha preceduto, in modo da fare della nostra vita non un assoluto, ma l’espressione di una generazione che esige memoria del passato e fiducia nel futuro.

In questa prospettiva la lettura della <Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo> (Mt 1, 1) ci obbliga a vivere un momento di memoria in cui la cascata dei nomi ci permette di sentire il fiume della vita che passa attraverso di noi senza fermarsi con noi. Matteo ci offre tre grandi sezioni della storia che sembra portare dentro di sé il desiderio di fare posto ad altro diventando un seno accogliente e provvido per l’incarnazione del Verbo che culmina in quel <Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo> (1, 16). Le nostre generazioni umane, segnate da momenti gloriosi e da episodi alquanto tristi come l’evocazione del sacrificio di <Urìa> (1, 6), fanno posto alla divina generazione del Verbo eterno del Padre che prende dimora tra di noi e si fa uomo per noi.

La Liturgia ci mette di fronte alla necessità di non dimenticare, senza per questo diventare prigionieri del passato. Perché la vita si manifesti e maturi è necessario accogliere la legge della generazione cui si è sottomesso lo stesso Verbo di Dio. Generare diventa il primo passo per riconoscersi come parte di un mistero che ci è donato e di cui siamo responsabili. Se da una parte l’aspirazione suprema di Dio è quella di generare, il nostro desiderio più grande deve diventare quello di essere generati alla figliolanza divina accettando la gestazione interiore di cui è artefice lo Spirito che ci è stato donato come caparra e come sigillo della nostra dignità e della nostra vocazione. La nostra generazione divina avviene per noi come per il Cristo: nel bel mezzo di quella storia di salvezza e di sventura che contrassegna ogni storia non esclusa quella della carne del Verbo. Maria, la sposa di Giuseppe, è la quinta donna e il cinque è il numero di Venere, la dea dell’amore, il principio sempre possibile perché la vita vada avanti e possa diventare più piena. La domanda di Giacobbe esige una risposta: <chi lo farà alzare?> (Gen 49, 9). Il Cristo si leverà ancora nella nostra storia nella misura in cui gli lasceremo spazio prima di tutto nella nostra intimità come fece Maria, come fece Giuseppe il cui legame e ascolto reciproco crebbero nel momento in cui Gesù cominciò ad essere tra loro come dono e come responsabilità. Così il passato diventa passaggio per il futuro che riempie di luce il presente.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *