Concorrere
XXX settimana T.O. –
Le parole dell’apostolo possono e devono essere accolte come un balsamo per dare conforto e serenità in tutto ciò che concerne il nostro modo di vivere e di considerare il nostro rapporto con le esigenze del dono della fede che richiede da ciascuno di noi una capacità di esercizio nella fede che sia fattivo e concreto. Dinanzi alla tentazione dello scoraggiamento oppure di una pressione di ansia di prestazione, siamo richiamati ad una serenità di fondo su cui possiamo costruire la nostra adesione quotidiana alle vie del Vangelo: <Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno> (Rm 8, 28). Mentre siamo abituati a pensare che tutto – o quasi tutto – concorra al male, l’apostolo ci ricorda che la relazione con Dio che sta a fondamento dell’opera della creazione e dell’esperienza che noi stessi facciamo della vita è <cosa buona>.
È come se Paolo avesse bisogno di radicalizzare la speranza dei suoi interlocutori: <Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli>. Sembra che non basti ancora! Per questo l’apostolo non esita a continuare in questa sua corsa di fiducia e di speranza: <quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati> (8, 29-30). A questo punto verrebbe da dire: “E cosa mai possiamo desiderare di più di tutto questo?”. Pur nelle circostanze non sempre esaltanti e non sempre chiare della vita se non possiamo sempre contare su noi stessi, possiamo e dobbiamo sempre contare sulla forza che ci viene dall’alto: <lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza> tanto che <lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili> (8, 26).
Su questo sfondo di speranza la domanda che viene rivolta al Signore Gesù rivela tutta la sua carica maldestra: <Signore, sono pochi quelli che si salvano?> (Lc 13, 23). La risposta del Signore ci riporta alla necessità di non avere bisogno di escludere gli altri per sentirci migliori degli altri e di non presumere mai di noi stessi, poiché la logica del Regno di Dio rischia di metterci davanti a molte sorprese. Laddove si cerca di fare delle classi, il Signore conferma la speranza di Dio su cui si fonda ogni umana speranza: <Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi> (13, 29-30). Con queste parole il Signore Gesù chiarisce in consa consista la <porta stretta> (13, 24) attraverso cui bisogno sforzarsi di entrare. Si tratta di rinunciare all’idea di escludere qualcuno dalla condivisione delle gioie del Regno per imparare invece a con-correre in modo sereno e condiviso verso una gioia che sia di tutti e per tutti.
Come ricorda ai pellegrini la porta di ingresso alla Basilica della Natività, non solo la porta del Regno è stretta, ma è anche e, soprattutto, bassa per cui bisogna inchinarsi. È necessario rimpicciolirsi per incontrare nel Verbo fatto piccolo il mistero di Dio che accoglie tutti nella sua vita. Vale per la fede ciò che vale per l’amore secondo la definizione un filosofo contemporaneo: <Amare, è desiderare di essere amati dalla persona che si ama>!





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