… secondo la carne
XXX settimana T.O. –
Quando Paolo pensa ad Israele e parla del popolo delle promesse, per quanto si lasci andare ad invettive ed esortazioni, lo fa con un grande attaccamento interiore a quel popolo che gli ha trasmesso tutto ciò che gli servì alla <piena conoscenza del mistero di Dio, cioé Cristo> (Col 2, 2). Per Paolo il senso più profondo della vocazione e della missione di Israele non è la trasmissione della Legge ma, attraverso la mediazione della Torah e la lunga e complessa tradizione di interpretazione e di pratica dei precetti, rendere possibile che il Verbo apparisse nel mondo <secondo la carne> (Rm 9, 5) “di” Israele. Questo è il motivo per cui il Signore Gesù ancora una volta non esita a rivolgersi <ai dottori della Legge e ai farisei> (Lc 14, 2) per porre – secondo le migliori tradizioni delle scuole rabbiniche – una domanda alla ricerca di una risposta che fosse compatibile con le Scritture e con la vita: <È lecito o no curare di sabato?>. Troppo in fretta noi cristiani disprezziamo i nostri fratelli maggiori dimenticando tutte le sottili disquisizioni che, per secoli, nella Chiesa hanno regolato i lavori leciti e illeciti nel giorno di domenica; naturalmente arrivando a permettere tutti i lavori intellettuali, escludendo – salvo per necessità –, tutti i lavori detti servili e interpretando così la Bibbia con le categorie di Aristotele più che con quelle di Gesù Cristo.
In realtà ciò che è di scandalo per alcuni e di liberazione per altri è proprio questo <secondo la carne> (Rm 9, 3.5) che Paolo sente profondamente nelle sue viscere fino a confessare: <ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua> (9, 2). Il segno di evangelica autenticità di tutto ciò sta proprio nella sua disponibilità ad essere egli stesso <anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli> (9, 3). Ecco svelato il mistero che ha stravolto e travolto la vita di Paolo sulla via di Damasco: essere sempre e solo <a vantaggio>! Ecco rivelato il cuore dell’evangelo di nostro Signore Gesù Cristo: <lo tirerà subito fuori> (Lc 14, 5). E se ci si prende cura di un <bue o di un asino> come si potrà rimandare anche solo di un giorno la restituzione della pienezza di vita ad una persona in un corpo sano e in una mente serena per quanto è nelle nostre possibilità?! Eppure, si deve riconoscere che siamo ancora affetti dalla tentazione di “angelismo”, dimenticando che ogni volta in cui non sappiamo metterci a servizio degli altri <secondo la carne> difficilmente potremo realmente raggiungerli e soccorrerli nel loro processo di liberazione interiore.
Ma come sarà possibile tutto ciò se non impariamo a vivere noi stessi e per primi <secondo la carne>, facendoci imitatori di Cristo Signore che l’ha assunta e abitata in modo così sano e santo? Ogni volta che la carne ci turba non è il segno che stiamo diventando più sensibili alle cose spirituali, ma è il segnale di quanto facciamo fatica a vivere secondo il Vangelo di Gesù Cristo il quale <si è incarnato nel seno della Vergine Maria per noi e per la nostra salvezza>. Ogni volta che cerchiamo di risorgere con lui <secondo le scritture> abbiamo il dovere di verificare se abbiamo assunto fino in fondo la nostra carne, la nostra storia, la nostra realtà nella sua totalità per celebrare quelle nozze mistiche che sono appunto la serena congiunzione del corpo e dello spirito. La parola dell’apostolo risuona chiara: <Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa> (Ef 5, 29). Una sola conclusione è possibile: <non potevano rispondere nulla a queste parole> (Lc 14, 6).





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