Ammutolì
XX settimana T.O. –
In realtà la parabola che il Signore Gesù rivolge ai capi dei sacerdoti e ai farisei ne contiene un’altra ancora più tagliente. Alla prima immagine degli invitati che rifiutano di partecipare al banchetto di nozze e sono sostituiti da <tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni> tanto che <la sala di nozze si riempì di commensali> (Mt 22, 10), segue quella di <un uomo che non indossava l’abito nuziale> (22, 11). Il testo ci dice che alla domanda postale dal padrone di casa <Quello ammutolì> (22, 12). Si tratta di un silenzio greve in cui si manifesta l’inconsapevolezza e la superficialità nell’accogliere il dono senza lasciarsi veramente cambiare dal dono di un invito che dovrebbe sorprendere fino a cambiare radicalmente. Al cuore dell’intera parabola campeggia una sorta di primo piano su quelli che sono i sentimenti profondi di questo padrone di casa totalmente intento ad organizzare <una festa di nozze> (22, 2). Il sentimento suona così: <Allora il re si indignò> (22, 7). La parabola nella parabola ci mette di fronte all’indignazione da una parte e ad un drammatico mutismo dall’altra!
Ciò che il Signore Gesù sembra volerci comunicare con questa parabola è la necessità di rendersi conto di ciò che riceviamo e di ciò che ci viene donato come opportunità. Questo riguarda certamente coloro che <non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari> e peggio ancora <altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero> (22, 6). Ma riguarda pure quell’invitato dell’ultima ora che è rimasto tale e quale a come era prima, senza lasciarsi veramente toccare e cambiare dall’invito ricevuto. La parabola di quest’oggi sembra completare quella che la precede nella sequenza liturgica dell’ascolto dei testi. Essere chiamati alla prima o all’ultima ora, essere i primi destinatari di un invito o di un annuncio o essere i sostituti di quanti hanno declinato non è la cosa più importante. Ciò che fa la differenza è quello che avviene nell’intimo del nostro cuore come cammino e processo di crescita e di trasformazione che, se disatteso, può trasformarsi in invidia rovente o in una sorta di algida inconsapevolezza.
In questo senso la figura non facile della figlia di Iefte con la sua disponibilità ad essere sacrificata per compiere il voto forse affrettato di suo padre acquista tutta la sua profondità: <Padre mio, se hai dato la tua parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca> (Gdc 11, 36). Di certo non possiamo giustificare nessun sacrificio umano né, tantomeno, l’immolazione cruenta di nessuna parte né di noi stessi né degli altri, ma questo racconto ci ricorda quanto una relazione liberamente accolta può coinvolgerci totalmente e serenamente. Con la liturgia bizantina chiediamo al Signore <di illuminare l’abito indossato dalla nostra anima> perché ci lasciamo rivestire dall’invito che ci viene rivolto per essere collaboratori della gioia di un Dio sempre intento a preparare una festa di nozze che dia a tutti speranza e slancio per un di più di vita e di corresponsabilità per l’allegrezza di tutti.
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