Sangue

XXVIII settimana T.O. –

Continua il tentativo di Paolo di illustrare il mistero di quel dono di salvezza che ci ha raggiunti e continua a raggiungere la vita di ciascuno di noi. L’apostolo insiste con forza quasi debba lottare contro le forme ricorrenti di una ricerca di merito che rischia di creare un’ansia di prestazione che, troppo facilmente, si rivela una frustrazione. Il concetto è assai chiaro: <sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù> (Rm 3, 24). Il dono di grazia che riceviamo gratuitamente attraverso Cristo Signore e in virtù del suo dono pasquale se ci raggiunge gratuitamente è invece pagato a caro prezzo dal Signore: <E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della giustizia per la remissione dei peccati passati> (3, 25). Quando un ebreo parla di <sangue> in realtà non fa che parlare del dono della vita intesa nella sua interezza soprattutto per quanto riguarda il suo dono per una nobile causa.

È lo stesso Signore Gesù che nel Vangelo reagisce all’ostruzionismo spirituale di scribi e farisei evocando la necessità, per così dire, di fare i conti con il sangue: <perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dalla fondazione del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario> e il Signore sembra insistere: <Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione> (Lc 11, 50-51). La stupidità con cui i farisei e i dottori della legge reagiscono al discorso di Gesù, genera quel desiderio omicida che li porterà ad uccidere il Cristo. Il Signore Gesù pagherà con la vita, con il suo sangue, di cui ci nutriamo ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, il desiderio di voler mettere in comunione il popolo con Dio. Ma proprio la sua morte, proprio la sua croce diventerà quel ponte che consente ad ogni uomo di comunicare con il Padre. Il suo sangue ha spalancato le porte della casa di Dio perché tutti possano entrarvi.

Alla luce di tutto ciò possiamo comprendere meglio cosa significhi e cosa comporti la solenne e rivoluzionaria parola dell’apostolo Paolo: <Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge> (Rm 3, 28). Questo non significa incrociare le braccia, ma comporta la generosa decisione di dare la vita fino in fondo come risposta d’amore alla gratuità di un dono ricevuto e riofferto senza fare conto di quanto possa costare in termini di dedizione e persino di perdita. Ciò che il Signore Gesù disapprova assolutamente nella condotta degli scribi e dei farisei, è la dimenticanza di quella <clemenza di Dio> senza la quale nulla può essere giusto e santo. Dimenticare la clemenza e insistere sulle opere della Legge, non solo come espressione della propria fede – e questo non può che essere lodevole e degno – ma come parametro di giudizio della fede degli altri, non può che – ben diverso da quell’amabile <indipendentemente> appena evocato – portare inesorabilmente a condannare, uccidere e sottrarre <la chiave della conoscenza> (Lc 11, 52). La conoscenza di cui ci parla il Signore non è la fredda teologia che non si è mai tirata indietro nel costruire dorati e magnifici <sepolcri> (11, 47), ma è sempre congiunta – anzi è l’espressione più vera – all’amore.

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