Pigrizia
XXXI settimana T.O. –
La lettera ai Romani che leggiamo da qualche giorno nella Liturgia comincia ad avviarsi verso la conclusione. La riflessione arguta di Paolo sul mistero di Cristo si traduce sempre più concretamente in una esortazione a lasciare che questo mistero illumini e trasformi interamente e in modo efficace tutta la nostra vita: <Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile> (Rm 12, 16). La ragione remota e fondante della carità che si invera in una stima reciproca e in una cura del cammino dell’altro perché possa conoscere la pienezza della vita in una gioia inconsutile, si radica in una consapevolezza di cui prendere coscienza ogni giorno: <pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri> (12, 5). Questa parola dell’apostolo Paolo ci permette di comprendere ancora meglio lo sbigottimento e l’ira che insorgono ed esplodono nel cuore e dal cuore di quell’uomo che <diede una grande cena e fece molti inviti> (Lc 14, 16).
Quando i primi invitati rifiutano di partecipare alla cena adducendo vari motivi per <scusarsi> (14, 18), la reazione è fortissima tanto che la conclusione è assai amara: <Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena> (14, 24). Questa parola deve scuoterci non poco. Infatti, la parabola viene raccontata dal Signore Gesù in risposta all’esultazione entusiasta di uno dei suoi ascoltatori: <Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!> (14, 15). Davanti a questa bella espressione, il Signore Gesù sente il bisogno di ricordare a quanti lo seguono che se l’invito è per tutti, nondimeno il rischio è che lo possano realmente accogliere quanti sono catalogabili tra <i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi> (14, 21). Solo costoro, infatti, sono in grado di cogliere la portata di gratuità di un simile invito tanto da non frapporvi nessun altro impegno e onorare così il desiderio di quell’uomo.
L’esortazione dell’apostolo va a toccare un pericolo sempre in agguato nel nostro cuore: <Non siate pigri nel fare il bene> (Rm 12, 11). Vi è una pigrizia che potremmo definire attiva, quella che ci rende indisponibili a prendere iniziative per la nostra vita richiudendoci in una ripetitività paralizzante. Vi è poi una pigrizia più sottile che si identifica con una sorta di insensibilità verso gli appelli e le possibilità che continuamente la vita ci offre e richiedono un ascolto e un’accoglienza pronti e fattivi. Perché questo accada è necessario avere un cuore libro e un’agenda abbastanza leggera o almeno disponibile e aperta all’imprevisto. Questo necessita che ci sia una gerarchia nelle nostre priorità. Si tratta di una gerarchia da ritoccare continuamente se non vogliamo diventare sordi agli appelli che ci vengono attraverso la vita. La più grave forma di pigrizia è quella che non ci fa aprire il cuore e le scelte alla necessità di cambiare i nostri programmi per gioire dell’esperienza di essere <un solo corpo> (Rm 12, 5) e di sedere tutti insieme come <commensali> (Lc 14, 15). Dunque, la vera beatitudine non sta semplicemente nel fatto di prendere <cibo nel regno di Dio>, ma di condividerlo sentendosi responsabili della propria presenza per la gioia di tutti.




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