XIII CENTENARIO DELL’ABBAZIA DI NOVALESA

La comunità monastica e la Città metropolitana di Torino sono pronte per celebrare i 1300 anni di fondazione dell’Abbazia di Novalesa.

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Era il 30 gennaio 726, pieno inverno.
Sono passati 1300 anni, l’Abbazia in Val Cenischia ha vissuto periodi più o meno importanti e centrali nella storia al di qua e al di là delle Alpi, fino a quel 1972 quando la Provincia di Torino la acquistò per non lasciare che andasse in rovina.
Un gesto importante che ha ridato vita nel tempo ad un luogo unico e speciale per storia, fede, arte e cultura.
La Comunità monastica benedettina ha predisposto per il 1300 anniversario dalla fondazione un programma ricco e significativo, con presenze illustri nel corso di tutto il 2026.

Cominceremo i 1300 anni di fondazione proprio all’Abbazia il prossimo 30 gennaio 2026 nel pomeriggio con una celebrazione dei Vespri presieduta dal Cardinale Roberto Repole e poi lungo tutto l’anno fino alla conclusione del centenario il 15 ottobre 2026, giorno della dedicazione della chiesa abbaziale quando un altro cardinale piemontese, mons.  Giorgio Marengo arriverà dalla Mongolia per concludere le celebrazioni.

“Bisogna essere in tanti – commenta il priore dell’Abbazia fratel MichaelDavide – e capaci anche di cospirare per la trasmissione di un dono che può fare del bene soprattutto in un tempo come il nostro, in cui abbiamo bisogno di luoghi di valico, di passaggio che seminano la pace e la concordia, la fraternità. Questo è un po’ il mistero di Novalesa”.

“La Città metropolitana di Torino ha impegnato risorse proprie lungo cinque decenni per conservare l’Abbazia e migliorarla ogni giorno di più – aggiunge il vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo – in accordo con la Soprintendenza abbiamo avviato restauri esterni ed interni importanti ed opere di viabilità. Nel 2026 non tutto sarà terminato, ma siamo carichi di entusiasmo per far vivere all’Abbazia un anno straordinario”. Tra gli eventi
in programma, il 31 gennaio nel pomeriggio un concerto meditativo animato dal Coro Harpa Dei; il 15 marzo per la tradizionale processione con l’urna Sant’Eldrado sarà presente l’Abate di Tamiè; domenica 28 giugno la posa della stele commemorativa del 1300° di fondazione presso la Cappella di santa Maria Maddalena e ancora concerti, conferenze, momenti di incontro e Abbazia a porte aperte.

Le celebrazioni avranno una preview tutta torinese, nel pomeriggio del 23 gennaio 2026 all’Archivio di Stato dove sono conservati la pergamena con l’Atto di fondazione e il Chronicon Novaliciense, il rotolo che tramanda la cronaca del monastero, composto da 28 fogli cuciti uno di seguito all’altro e divisa in cinque libri. Si tratta dell’unico componimento letterario che si conosca redatto su rotolo pergamenaceo anziché su codici.

Nonostante l’elevato numero di monasteri fioriti intorno al Mille in Piemonte e nel centro Europa, il numero delle cronache pervenute fino ai giorni nostri è scarsissimo, perciò (come si legge sul sito dell’Archivio di Stato) questo rappresenta uno dei più straordinari documenti cronachistici dell’Italia medievale. È opera di un benedettino di cui non si conosce il nome, vissuto nella metà dell’XI secolo, quando i monaci si erano già trasferiti nel monastero di Sant’Andrea di Torino e in quello di Breme.

Attendere… con delicatezza

I settimana T.A. –

Non saremo mai abbastanza grati alla sapienza della liturgia per il fatto di donarci, puntualmente ogni anno, come capocordata nel cammino dell’Avvento un uomo così delicato come il <centurione> (Mt 8, 5). Nessuno può dire se è lo stesso che si troverà sotto la croce nel momento della morte del Signore e che riconoscerà nell’uomo appena spirato tra atroci tormenti, nientemeno che <il Figlio di Dio> (27, 54). Ci piace pensarlo e se fosse vero si potrebbe veramente dire che il cerchio si chiude gloriosamente attraverso la fede di un uomo che rese <ammirato> (8, 10) il cuore del Signore prima che il suo cuore trafitto per amore riempisse di ammirazione il cuore di quest’uomo. Da un uomo d’armi, abituato per ufficio a comandare e ancor più abituato ad essere se non temuto almeno obbedito, non ci si aspetterebbe tutta la delicatezza di cui ci testimonia il vangelo. Delicatezza nei confronti del suo <servo> (8, 6) per il quale chiede al Signore Gesù la guarigione, ma anche delicatezza nei confronti dello stesso Maestro a cui chiede di non scomodarsi di entrare sotto il suo <tetto> (8, 8) per non essere imbarazzato dalle dicerie che questo potrebbe creare tra i farisei e i pii devoti che ne scrutano ogni mossa e ogni gesto.

Cafarnao è una città malfamata agli occhi della gente devota in quanto è un crocevia di commerci ma pure di credenze e di religioni dove è più difficile, almeno restare fedeli a tutte le prescrizioni della legge e delle consuetudini. Eppure proprio con il coraggioso e delicato riserbo di questo centurione si compie la profezia del profeta il quale, pensando alla città santa di Gerusalemme, la immagina e la desidera non come un luogo riservato ai perfetti ma come il polo verso cui tutti sono intimamente e serenamente attratti. Senza reticenze e con grande entusiasmo Isaia sembra sognare: <il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti> (Is 2, 2). Il profeta sembra anche svelarci come questa ascensione sia espressione di un desiderio profondo e autentico di conversione: <perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri> (2, 3). Mentre muoviamo questi primi passi nella grazia della rinnovata attesa possiamo chiederci cosa può dare vigore ai nostri passi e cosa può renderli saldamenti e sicuramente orientati verso la méta.

Oggi possiamo accogliere proprio questo modo delicato con cui il centurione si rivolge al Signore e desiderare anche noi di dargli uno spazio salvifico nella nostra vita che sia rispettoso, discreto, attento, pieno di delicato riserbo accettando e amando di farci reciprocamente presenti senza chiedere troppo e sapendoci accontentare di ogni piccolo gesto di benevolenza. La <fede così grande> (Mt 8, 10) in realtà non è altro che una fede delicata e piena di riconoscenza per il fatto che qualcuno ci ascolti e si apra ai nostri bisogni. Ma prima di chiedere a Dio di fare questo per noi dobbiamo imparare a farlo noi stessi per Lui e per ogni persona che sentiamo nel bisogno e nella necessità. Entriamo in questo Avvento con delicatezza e la delicatezza sia il segreto di questo Avvento perché ci permetta di andare <con gioia incontro al Signore> (Salmo responsoriale).