Un libro

XXVII settimana T.O. –

Il profeta Malachia si misura con la fatica di continuare a credere in un Dio che sembra troppo lontano e disinteressato alle nostre fatiche tanto da far giungere i suoi fedeli ad un’amara conclusione: <E’ inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in luto davanti al Signore degli eserciti?> (Mal 3, 14). Questo modo di sentire e di argomentare potrebbe anche scandalizzarci, nondimeno dobbiamo riconoscere che talora corrisponde esattamente al nostro modo di sentire che arriva a dire con dolore e persino con rabbia: <Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti> (3, 15). Nella sensibilità del profeta questi discorsi e questi sentimenti che sembrano levarsi continuamente dalla terra per raggiungere il cielo, feriscono profondamente il cuore di Dio. I <timorati di Dio> (3, 16) prendono posizione e in certo modo cercano di consolare il cuore dell’Altissimo: <un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome>!

In questo libro potremmo scrivere con lettere di fuoco la parola che il Signore Gesù ci dona come conforto e luce nella <mezzanotte> (Lc 11, 5) del bisogno: <Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!> (Lc 11, 15). Lo Spirito in noi arde come fuoco che ci permette di rinnovare continuamente l’ardore della preghiera che non si arrende e che continua a bussare senza paura di disturbare. Il segno dell’autenticità di quest’attitudine è la capacità di lasciarsi disturbare a propria volta. Si tratta di imparare a servire Dio senza servirsi di Dio e questo esige la capacità di mettere in comune le proprie forze e le proprie fragilità. L’opera dello Spirito ci mette in condizione di osare partendo con la preghiera che è sempre la premessa di una vita che si lascia interpellare e disturbare fino a sapersi coinvolgere nel bisogno dell’altro.

Così siamo messi di fronte alla concretizzazione di quel <nostro pane> (Lc 11, 3) che se viene chiesto nella preghiera deve essere necessariamente condiviso nella vita. Solo così la preghiera che cambia il nostro cuore, sarà capace di trasformare silenziosamente, ma imperiosamente il mondo attorno a noi attraverso quelle piccole <cose buone> (11, 13) che sono il segno della presenza operante e vivificante dello <Spirito Santo> che, di certo, non ha paura del nostro eventuale essere o semplicemente sentirci <cattivi>. Per questo: <Dobbiamo cercare sempre il Figlio di Dio e dobbiamo sempre trovarlo, poiché chi lo cerca lo trova. Poiché Dio cerca la terra, ama la terra, desidera convertirmi ora, non al cielo, ma alla terra, e ivi cercare Gesù Cristo>1. Del resto, l’amicizia non è altro che un modo, molto umano, eppure così divino per aprirsi ad una relazione in cui chiarezza e complicità si rincorrono con naturalezza e senza alcuna vergogna. Forse è uno dei tratti della stessa vita trinitaria che si riflette nella nostra umana compagnia come in un libro.


1. P. de BERULLE, Lettera 143, 1-2.

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