Promessa

XXIX settimana T.O. –

Tutta la nostra vita umana è un cammino di presa di coscienza e di crescita nella consapevolezza di quanto e di come la nostra umana avventura è più legata a ciò che è stato <promesso> e viene continuamente promesso nella verità e nella creatività di una relazione, piuttosto che nell’immobilità di un gioco di ricchezze che portano a dividere piuttosto che a condividere. In realtà, la richiesta che viene presentata al Signore Gesù diventa per noi un monito: <Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità> (Lc 12, 13). Se la relazione con il Signore non ci porta un po’ oltre questo bisogno di parcellizzazione che corrisponde, in verità, ad un processo di impoverimento, allora siamo sulla strada che conduce alla disumanizzazione. Nel nostro cuore siamo chiamati a coltivare e a far crescere un atteggiamento completamente diverso come fece il nostro padre Abramo <convinto che quanto> gli era stato <promesso era anche capace di portarlo a compimento> (Rm 4, 21).

Il dinamismo della fede non è altro che un processo di sempre più grande apertura e disponibilità a camminare con gli altri tanto da rendere impossibile – anzi assolutamente impensabile – un argomento come quello su cui si sofferma il protagonista della parabola: <riposati, mangia, bevi, divertiti!> (Lc 12, 19). In realtà bisogna riconoscere che se la vita è relazione, allora quella di quest’uomo apparentemente così vivace è già morta a motivo della sua chiusura. Così la parola che gli viene rivolta dall’Altissimo più che una punizione ha tutta l’aria di essere una semplice constatazione con cui non solo si prende atto, ma pure si cerca di cogliere tutte le conseguenze. La vita non consiste nell’avere la propria parte di eredità, ma di avere parte all’eredità, secondo il dramma vissuto dagli altri due fratelli (Cfr Lc 15) di cui Gesù ci parla in una delle sue più belle parabole. Laddove un uomo costruisce magazzini e recinti sempre <più grandi> (Lc 12, 18), ecco che la sua vita diventa sempre più piccola e, in certo modo, proporzionalmente più vana e quindi anche più breve. Infatti, anche se fosse lunghissima la morte sembrerà sempre una terribile ingiustizia. Laddove lo stolto ragiona <tra sé> (12, 17) e parla in termini di possesso perfino dell’<anima mia> (12, 19) il Signore ricorda, con la sua parola e il suo rifiuto di “mediazione”, che il tutto deve essere invece considerato <davanti a Dio – in greco: verso Dio>.

Lo spirito del Vangelo rivoluziona il nostro modo di relazionarci reciprocamente: siamo tentati dal fare le cose tra di noi – dividendo – mentre il Signore ci invita a riconsiderare tutto ciò che avviene tra noi – a livello orizzontale – a partire dalla direzione di fondo che è assolutamente verticale: verso Dio! Allora la domanda dello stolto rimane valida e intrigante perché tradisce il nostro desiderio di ammassare per sentirci al sicuro: <Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?> (12, 17). Lasciamoci interiormente lavorare e profondamente interrogare dall’esortazione evangelica: <Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede> (Lc 12, 15) perché dipende da ciò che condivide.

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