Carne
XXIX settimana T.O. –
Per ben otto volte compare nella prima lettura di quest’oggi il termine <carne> che <tende alla morte> (Rm 8, 6). L’apostolo mette in chiara evidenza un conflitto tra carne e Spirito <dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi> (8, 9). In questo dinamismo di comunicazione di grazia tra l’energia divina e la nostra carne siamo chiamati a diventare sempre di più un <corpo> (8, 10) in cui si manifesti il più pienamente possibile il dono di partecipazione alla stessa vita di Dio. Come spiega un filosofo contemporaneo: <La carne la cui realtà è finita presenta due caratteri correlativi. Da una parte, le impressioni di cui è costituita sono tonalità affettive di ordine negativo, quale il malessere legato al bisogno, l’insoddisfazione, il desiderio e le molteplici forme e sfumature del dolore e della sofferenza di cui la carne è il luogo principale di esperienza. In tutte queste tonalità, il loro tenore sofferente e spiacevole esprime il senso di mancanza fondamentale che riguarda la carne in quanto essa è incapace di essere sufficiente a se stessa. Ma vi è pure un secondo tratto proprio ad ogni carne, il suo dinamismo attraverso cui si sforza di trasformare il malessere nel benessere di un desiderio provvisoriamente colmato>1.
Di questo dinamismo è garante il nostro rapporto con il mistero di Cristo Signore: <E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi> (Rm 8, 11). Nel Vangelo il Signore Gesù ci ricorda che questo processo interiore di crescita e di conformazione esige profonda e radicale attenzione e non può essere mai per così dire “liquidato” con un giudizio che si lasci completamente conquistare dalle apparenze e dalle esteriorità. Per ben due volte, il Signore Gesù dice energicamente “no” alla logica “carnale” dei suoi interlocutori, i quali non riescono a vedere le persone che sono coinvolte e segnate dagli avvenimenti di cui parlano: <No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo> (Lc 13, 5). La parabola apre il cuore e lo sguardo su un modo diverso di considerare e di giudicare che implica sempre la disponibilità a coinvolgersi in prima persona come l’anonimo contadino in cui si nasconde il volto e l’attitudine di Cristo stesso: <Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e vi avrò messo il concime> (13, 8). Potremmo dire che la carne si fa corpo in cui si manifesta l’opera dello Spirito di Dio che anima e divinizza la nostra vita, proprio nella misura in cui invece di accontentarsi di guardare e di giudicare, accetta di coinvolgersi e di rischiare in prima persona. Come discepoli siamo così chiamati, ogni giorno, a prendere sempre più coscienza di questa presenza dello Spirito che è come la terra per un albero: non è un’eccezione o una realtà passeggera, bensì è l’humus di cui viviamo tanto che la sua azione va continuamente ravvivata e sempre meglio accolta e custodita.
1. M. HENRY, Paroles du Christ, Seuil, Paris 2002, pp. 8-9.





Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!