Guardare
XXXIV settimana T.O. –
Nella prima lettura troviamo un continuo invito ad aguzzare la vista e sembra che il profeta Daniele sia proprio un uomo capace non solo di guardare, ma anche di osservare, fino a comprendere oltre le stesse cose che cadono sotto i suoi occhi. In questo modo egli può cogliere il senso più profondo di ciò che gli eventi della storia non solo rivelano, ma pure segretamente preparano: <Io Daniele, guardavo nella mia visione notturna…> (Dn 7, 2). Per ben sette volte, nella prima lettura, si evoca la capacità e la volontà del profeta di guardare con una tale profondità da essere in grado di andare ben oltre le apparenze e far maturare – nonostante tutto il peso di minaccia che le varie bestie sembrano incutere – una speranza ancora più grande: <Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunge fino al vegliardo e fu presentato a lui> (7, 13). L’esempio di Daniele ci obbliga ad un serio esame di coscienza sul rischio di avere sempre gli occhi aperti sulla realtà e sulla storia che ci passa davanti attraverso un inarrestabile flusso di immagini e di suggestioni. Quando è così, siamo incapaci di vedere – in realtà – alcunché, quasi prigionieri e spesso persino accecati da una superficialità che rischia di renderci insensibili.
Sembra proprio che guardare e vedere in modo profondo e avvertito sia un dovere che non si improvvisa, ma ha bisogno di una lunga preparazione. E non solo. Questa visione necessita di una vera abitudine – per nulla abitudinaria – ad andare oltre le apparenze, ingaggiando una sorta di diuturno combattimento spirituale contro la superficialità in tutte le sue manifestazioni: le più evidenti, come quelle delle bestie evocate dal profeta Daniele o le più sottili e ancora più invisibili dei germogli, evocate dal Signore Gesù nel Vangelo: <Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino> (Lc 21, 31). Pertanto, non basta vedere con gli occhi o sentire con le orecchie. Per discernere i segni dell’irruzione del Regno di Dio nella nostra storia è necessario maturare nella capacità di intra-vedere, fino ad essere profeticamente capaci di ultra-vedere. Nel battesimo siamo stati unti con il crisma che ci ha reso profeti, re e sacerdoti. Ciò comporta, per ogni battezzato e discepolo del Signore Gesù, un dovere di profezia posta al cuore della storia perché essa possa realmente diventare, non semplicemente l’evidenza di eventi che si succedono quasi casualmente, ma il respiro di una coscienza sempre più affinata: <Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina> (21, 29-30).
Quando il fico, la cui spettrale veste invernale non lascia alcun posto a nessuna illusoria speranza, germoglia, è segno che tutti gli altri alberi faranno ben presto altrettanto e che il raccolto dei frutti si avvicina, assicurando non solo la continuità, ma pure la gustosità della vita. Come discepoli di Cristo Signore, educati quotidianamente alla scuola del Vangelo, siamo chiamati a presagire i tempi e i modi di una speranza senza la quale tutto rischia di soccombere in un’invincibile tristezza.




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