Fortezza
XXVII settimana T.O. –
C’è di certo una punta d’invidia nelle parole entusiaste di questa donna che non riesce a trattenere la sua ammirazione per Gesù tanto da mettersi a gridare, perché tutti la sentano proclamare e dire che colei che lo ha portato nel grembo è la donna più fortunata del mondo: <Beato il grembo che ti ha portato e il senso che ti ha allattato!> (Lc 11, 27). Anche a noi capita di renderci conto di alcuni risultati e di alcune mete raggiunte nella vita da persone che incrociano i nostri cammini, persone che riteniamo più fortunate di noi, le ammiriamo e anche un po’ le invidiamo, non riuscendo talora a spiegarci come mai certe cose siano potute capitare agli altri e non a noi. Così pure, non raramente, siamo talmente impressionati da ciò che di buono e di bello capita nella vita degli altri da sottovalutare e persino da non vedere per niente quello che sta accompagnando e segnando la nostra stessa vita grazie a realtà non meno importanti e significative.
Dal vangelo che oggi la Liturgia ci fa leggere, conosciamo la risposta del Signore Gesù alle parole di questa donna e forse potremmo chiederci che cosa avrebbe risposto la madre di Gesù a lei e a noi che forse nutriamo i suoi stessi sentimenti. In realtà possiamo, per così dire, risalire fino alla risposta di Maria, proprio a partire dalle parole di suo Figlio, mettendole sulle labbra stesse della madre: <Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano> (11, 28). Per comprendere tutta la portata e le esigenti implicazioni di questa parola, ci viene in aiuto il profeta Gioele. Un testo come quello che troviamo nella prima lettura di quest’oggi rischia di infastidirci perché contrasta con l’immagine entusiastica della nostra relazione con Dio, mettendoci di fronte alle esigenze che comporta il camminare per le sue vie: <Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano, poiché grande è la loro malvagità> (Gl 4, 13).
Siamo obbligati a chiederci che cosa mieterebbe o vendemmierebbe il Signore se oggi, proprio oggi, senza rimando alcuno, venisse a raccogliere il frutto della nostra esistenza? La promessa di Dio, per mezzo del suo profeta suona così: <Ma il Signore è un rifugio per il suo popolo, una fortezza per gli Israeliti> (4, 16). Forse proprio questo fu il segreto della madre di Gesù: fare della sua presenza a Dio, nell’ascolto e nell’obbedienza interiori, una vera <fortezza> nel duplice senso della virtù e del luogo. In ambedue i casi la <fortezza> rimanda ad una certa solitudine e ad una particolare austerità di perseveranza, nella lunga attesa di tempi apparentemente morti in cui nulla sembra accadere. Essa rappresenta pure la sicurezza di tutti ed esige un lavoro assai costoso di attenzione e di vigilanza costante, un lavoro che passa e ripassa continuamente <nella valle della Decisione> (4, 14). Invece di accontentarci – per quanto entusiasticamente – di dichiarare beato il grembo di Maria, cerchiamo di fare della nostra esistenza un grembo gravido di attenzione alla vita… una fortezza!
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