Il tuo nome è Gazzella, alleluia!
III Settimana di Pasqua –
Concludiamo la lettura del capitolo sesto di Giovanni e se, guardiamo bene il testo, possiamo dire che la poesia dell’inizio si trasforma sotto i nostri occhi in dramma della fine. Il finissimo gesto di compassione e di amore con cui il Signore Gesù prende l’iniziativi di condividere, al massimo delle possibilità, il poco pane disponibile, ci porta, dopo un lungo discorso – che in realtà è una vera a propria catechesi – verso quella domanda che, benevolmente evitata all’inizio, viene posta così radicalmente alla fine: <Volete andarvene anche voi?> (Gv 6, 67). È questa domanda che, ogni anno, la Liturgia sembra porre volutamente alla comunità dei credenti che rivivono, insieme ai neofiti, l’avventura della mistagogia proprio alla vigilia della domenica del “buon Pastore”. Se non sappiamo rispondere fino in fondo a questa domanda che il Signore pone <ai Dodici> e, attraverso di essi, alla Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo, sarà quasi impossibile saper riconoscere la voce e metterci sui passi di Cristo Risorto. Rischia di essere quasi impossibile agire come le pecore fanno con il pastore di cui conoscono l’odore e di cui, alla fine, hanno addosso lo stesso odore segno di una condivisione profonda e intima di un medesimo destino.
La risposta di Simon Pietro, almeno per questa volta, è più che felice: <Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio> (6, 68-69). Riconoscere in Gesù <il santo di Dio>, significa non solo onorarlo con la propria fede, rinnovando la propria disponibilità a seguirlo, ma comporta un passo ulteriore. Ciò che è <santo> è ciò che pur entrando in contatto e in comunione con noi, è sempre oltre noi stessi ed esige una coscienza di differenza radicale che fa la qualità della relazione unica, una relazione che l’Altissimo ci ha offerto in Cristo Gesù che ha dato la sua vita per noi come un pezzo di pane che si lascia mangiare e metabolizzare per dare vita. Riconoscere nel mistero pasquale il Cristo, significato nel sacramento dell’Eucaristia, significa ritornare continuamente al fondamento della nostra intimità con Dio che si radica in una differenza assoluta.
Allora le immagini della prima lettura ci possono offrire un ulteriore aiuto per dare contenuto all’intuizione e alla confessione di Simon Pietro. E’ proprio l’apostolo Pietro che compie due miracoli ravvicinati, entrambi con il sapore di un invito pressante a rimettersi in piedi e a riprendere il cammino: c’è Enea che <da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico> (At 9, 33), e c’è Tabità che Pietro richiama dal sonno e dall’immobilità della morte riportandola ad onorare pienamente il significato del suo nome: <Gazzella> (9, 36). In realtà la vera Gazzella, che ci precede continuamente e ci chiede di stare al suo passo camminando alacremente nelle vie della santità, è Cristo Signore. Per questo lo riconosciamo con Pietro <il Santo di Dio> e ci rimettiamo alla sua sequela quasi volando perché sappiamo che egli sempre ci precederà senza mai seminarci.
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