Il tuo nome è Vita, alleluia!

III Settimana di Pasqua –

La nota con cui si conclude il testo del Vangelo che leggiamo nella Liturgia di oggi evoca le <cose> che il Signore Gesù avrebbe detto insegnando <nella sinagoga a Cafarnao> (Gv 6, 59). Le parole che il Signore ci dona, in realtà, sono ben più che delle parole, esse – infatti – ci trasmettono la vita e la tengono continuamente viva dentro di noi perché possa crescere e raggiungere la sua pienezza. Allora possiamo veramente dire che il pane moltiplicato per la folla è segno di quella vita donata. Il Signore Gesù spinge le immagini ancora più lontano e, per certi aspetti, persino troppo lontano: <se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita> (Gv 6, 53). La domanda si pone in modo del tutto naturale e, per molti versi, si fa necessaria: “Di quale vita si tratta?”. La risposta del Signore Gesù sembra persino anticipare la questione: <Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda> (6, 54-55).

Non è difficile immaginare l’imbarazzo e la fatica degli ascoltatori di Gesù davanti a immagini così forti che risvegliano tutta una serie di attenzioni e di preoccupazioni rituali e spirituali che hanno a che fare con le carni macellate e, soprattutto, rapportate con il sangue, non solo degli animali, ma anche con quello degli umani. Una serie di tabù che, in realtà, custodisce il mistero della vita ed evita che si attenti alla sua sacralità. Eppure, sembra che il Signore Gesù voglia condurre i suoi ascoltatori proprio sulla soglia di questa comprensione forte del mistero di una vita donata e condivisa, con una radicalità e una generosità tali da abbattere ogni schema religioso di auto-protezione per trasformarlo in un invito al rischio del dono. Il segreto di tutto ciò risiede e si radica nella stessa vita di Dio: <Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me> (6, 57).

Attraverso queste parole, che il Signore Gesù pronuncia nella sinagoga di Cafarnao, possiamo capire meglio che cosa realmente sia avvenuto a Saulo <mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco> (At 9, 3). C’è qualcosa che stravolge completamente e definitivamente il modo di sentire, di vivere e di imporre la relazione con Dio. Mentre Saulo si reca a Damasco per imprigionare i discepoli del Signore Gesù, è avvolto da <una luce> che lo obbliga a cambiare completamente il suo modo di vedere e di giudicare. Una luce che lo rende prima di tutto cieco e poi riaprire gli occhi del suo cuore ricominciando tutto daccapo. Lo stesso Signore narra, al timoroso Anania, che cosa è avvenuto nel cuore del temuto persecutore: <ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista> (9, 12). Il passaggio di Saulo, che, come tutti i farisei, hanno una grande devozione per gli angeli e si fanno scrupolo di difendere i diritti di Dio anche a costo della vita propria ed altrui, è una sorta di conversione all’<uomo>. Ciò che sigilla la trasformazione del cuore di Saulo è quell’uomo che gli viene incontro come fratello e gli apre una nuova via di comprensione del mistero stesso di Dio su cui l’apostolo rifletterà per il resto della sua vita. Servire Dio trasformando la nostra relazione con Lui in carne e sangue, in una vita vera e piena, una vita che sa riceversi con gratitudine e ridonarsi con generosità. Tutto cambia: invece di essere noi ad offrire a Dio qualcosa, è Lui che si offre a noi e ci mostra così la <Via> (At 9, 2) per fare altrettanto.

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