Non desiste
XXX Domenica T.O. –
Continua la catechesi del Signore Gesù sulla preghiera e, all’immagine della vedova che si contrappone al giudice iniquo, oggi si affianca un altro contrasto: quello del fariseo e del pubblicano. La liturgia bizantina dedica la prima domenica del Tridion – domenica che prepara alla Grande Quaresima – proprio alla contemplazione di queste due figure nelle quali, ogni fedele, è chiamato a specchiarsi per fare il punto sulla propria disponibilità alla conversione. Il primo passo di ogni serio cammino di conversione non può che essere la coscienza di averne realmente bisogno: <Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”> (Lc 18, 13). Così fa pregare la liturgia bizantina cercando di preparare il cuore dei fedeli al combattimento spirituale della Quaresima: <Con un animo umile, il pubblicano, gemendo, trovò propizio il Signore e fu salvato, ma decadde paurosamente dalla giustizia il fariseo dalla lingua magniloquente. Fuggiamo o fedeli, la boria dei propositi del fariseo e i suoi titoli di purezza, emulando rettamente l’umiltà e i sentimenti del pubblicano che hanno ottenuto misericordia>1.
Nella seconda lettura di questa domenica è l’apostolo Paolo che si fa esempio per ciascuno di noi e, in un certo senso, ci conferma nella speranza che anche il nostro piccolo o grande fariseo interiore possa realmente non solo convertirsi, ma trasformare lo zelo dell’auto-esaltazione in zelo di servizio e di amore fino a poter dire: <Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede> (2Tm 4, 7). Ciò che rende possibile per ciascuno di vivere fino in fondo – e pienamente – il proprio cammino fino a giungere a meritare la <corona> (4, 8), è ciò che il Siracide ci rammenta come principio ordinatore della relazione tra la nostra umanità e il nostro Creatore: <Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone> (Sir 35, 15). Questa parola del Siracide ci aiuta a comprendere in cosa consista il vero dramma del fariseo. A furia di autocertificarsi ci si mette al posto di Dio fino a guardare gli altri come se si fosse al posto che compete solo all’Altissimo: <… e neppure come questo pubblicano> (Lc 18, 11).
Paolo ci ricorda, non solo con la parola, ma prima di tutto con la testimonianza della sua vita, che è possibile lasciare emergere in noi la figura del pubblicano che siamo a dispetto del fariseo che cerca di prendere sempre tutta la scena. La preghiera umile <non si quieta> e <non desiste – finché l’Altissimo non sia intervenuto> (Sir 35, 21) – dal ricomporre le giuste proporzioni del nostro modo di considerare noi stessi imparando che non possiamo in nessuno modo farci giudici degli altri. Come ci ricorda il Signore Gesù: ciascuno può fare l’esperienza di essere <giustificato> (Lc 18, 14) solo nella misura in cui riconosce di non essere giusto, ma di essere amato e perdonato. Per questo la preghiera del povero <attraversa le nubi> e rende capaci di guardare e di lasciarsi guardare nella limpida luce divina.
1. Anthologhion, II, p. 397.




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