Per chi?
XVI Settimana T.O. –
Per chi?
Il cammino di ascolto e di formazione attraverso le parabole del Regno dei cieli è appena cominciato e i discepoli subito pongono al Signore Gesù una domanda: <Perché a loro parli con parabole?> (Mt 13, 10). La risposta del Signore, come spesso avviene, in realtà tende ad aiutare i discepoli a rettificare e ad orientare meglio la loro reazione a quello che Gesù va dicendo e invece di parlare degli altri, subito si parla dei discepoli stessi: <Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato> (13, 11). Al <perché> cui sembrano così interessati i discepoli corrisponde una chiarificazione del <per chi> il Signore apre la sua bocca e riversa il suo insegnamento sui suoi ascoltatori non come una clava che ferisce, ma come un balsamo che risana affinché si compia pienamente e per tutti la profezia: <… e io li guarisca!> (13, 15).
Nella prima lettura siamo ricondotti ad un altro momento assai importante – per non dire fondamentale – della storia di Israele che è quello della consegna della Torah sul monte Sinai che è accompagnata da una sorta di coreografia dell’indicibile che si fa parola donata eppure con tutta una serie di mediazioni che garantiscano l’incolumità di quanti si trovano alle falde del monte. La teofania del Sinai fatta di <lampi, nuba densa sul monte e un suono fortissimo di corno> (Es 19, 16) tanto che <tutto il monte tremava molto> (19, 18) non è che un altro modo per parlare in parabole al cuore di un popolo che ha bisogno ancora di guarigione per mangiare cibo solido e a cui bisogna dare il tempo e i mezzi per acclimatarsi al linguaggio del Signore Dio. La <vetta del monte> (19, 20) su cui Mosè e convocato in solitudine pone una distanza terapeutica tra Dio e il popolo per dare a questi il tempo di abituarsi a Dio come avviene quando bisogna riabituare gli occhi a un eccesso di luce o al passaggio da una vivida luce alla penombra di una casa.
Il parlare di Gesù in parabole come il rivelarsi di Dio lungo il cammino dell’esodo nella teofania del Sinai dicono la stessa cosa: ciò che sta a cuore al Signore non è il <perché> del suo parlare o del suo tacere, del suo rivelarsi o del suo nascondersi, bensì il <per chi> egli fa l’una o l’altra cosa e, non raramente, l’una e l’altra cosa. Chissà se possiamo sentirci veramente destinatari della parola che il Signore Gesù rivolge ai discepoli: <Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano> (Mt 13, 16). Oppure ci sentiamo più a nostro agio con quella folla di poveri e di piccoli che restano alle <falde del monte> (Es 19, 17) in attesa di essere guariti e recuperare così la propria sensibilità all’ascolto e alla visione e il proprio coraggio per rispondere con la vita al dono ricevuto. In ogni modo la parola di Dio che risuona nella maestà del Sinai o nella discretissima voce di Gesù non ha un <perché> come non ha un perché ogni bellezza e ogni amore.
Per chi…? Perchè…?
Magari semplicemente per tutti coloro che vogliono vivere un ” NOI”
dove si realizza l’unità e l’elevazione verso la communione…
” Perchè era Lui, perchè ero io… ( Montaigne )