Urgentismo

XXVIII Domenica T.O.

Il Signore Gesù non fa nessun gesto eclatante nei confronti di questi lebbrosi che, insieme, gli chiedono di essere guariti. Non solo nessun gesto “miracolante”, ma neppure l’uso di una parola potente che possa impressionare. C’è semplicemente il rimando alla normalità prevista dalla Torah: <Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti> (Lc 17, 14). Naaman si lamenta della grande semplicità del comando del profeta Eliseo tanto che, dopo un così lungo viaggio, <scese e si immerse nel Giordano sette volte> (2Re 5, 14). I lebbrosi che vanno incontro al Signore, invocandolo con urgenza, avrebbero da lamentarsi ancora di più. In realtà la guarigione di Naaman e dei dieci lebbrosi avviene non per la potenza di un gesto o per l’incantesimo di una parola, bensì per la capacità     di assumere, come parte della vita, la propria fragilità e la propria vulnerabilità. L’evangelista Luca sottolinea che i lebbrosi <mentre andavano, furono purificati>. Così come Naaman ritrovò <il corpo di un ragazzo> proprio nel momento in cui accettò di immergersi nel Giordano come un bambino che si mette a giocare con l’acqua.

Le aspettative di Naaman nei confronti di Eliseo e quelle dei lebbrosi che <dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!> (Lc 17, 13), devono essere purificate radicalmente per poter aprire la strada ad una guarigione che sia capace di toccare e trasformare tutta la persona. Il primo passo di questa purificazione è di non cedere alla fretta e di non lasciarsi prendere da un’urgenza eccessiva: ogni terapia non ha solo bisogno delle medicine, ma pure del tempo necessario perché esse possano fare effetto. Tutti e dieci i lebbrosi si mostrano capaci di obbedire alla parola del Signore Gesù, ma solo uno torna indietro per ringraziare. Per gli altri nove, in realtà, è avvenuta la guarigione senza che sia cambiata la percezione di Dio, tanto che riterranno che tutto sia avvenuto come previsto dalla Legge, dimenticandosi della relazione intercorsa con il Signore Gesù. Solo il samaritano si mostra sensibile alla possibilità di vivere la guarigione come possibilità di entrare in una relazione che sia meno <a distanza> (17, 12). Pertanto solo a questa distanza ravvicinata sarà possibile sperimentare, quanto e come, <la Parola di Dio non è incatenata> (2Tm 2, 9) e, per questo, capace di liberare pienamente.

È solo dopo questo cammino di ritorno che la parola può risuonare in tutta la sua forza e la sua pienezza: <Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!> (Lc 17, 19). Si potrebbe dire che, alla fine, si rivela come solo uno di questi lebbrosi desiderasse incontrare un salvatore mentre agli altri nove fosse sufficiente sperimentare un “salvataggio”. Se il salvataggio avviene sempre in una modalità di urgenza, la salvezza ha bisogno di tempi di realizzazione che sono i tempi propri di una relazione che matura. In tal senso il lebbroso samaritano è della stessa pasta della samaritana che tornerà al villaggio, senza più anfora, facilitando l’incontro di tutti con <il salvatore del mondo> (Gv 4, 42). Proprio perché samaritano, questo lebbroso comprende più profondamente degli altri che la dose di assoluta gratuità e benevolenza non è un diritto che viene dalle leggi del tempio, ma è il segno di un amore colmo di estrema compassione che cambia il cuore: <si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo> (Lc 17, 16). Per gli altri è stato sufficiente prostrarsi in quel tempio in cui il samaritano, in realtà, non poteva entrare. L’esperienza della guarigione conferma i nove lebbrosi nella loro attitudine religiosa, mentre apre per il samaritano la via dell’adesione personale… la porta della fede.

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