Strada

S. Barnaba –

La raccomandazione del Signore Gesù ai suoi apostoli è valida per i discepoli di ogni luogo e di sempre: <Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino> (Mt 10, 7). È chiaro che nulla si potrebbe vivere e condividere <strada facendo> se non si facesse il primo passo quello di “fare strada” con gli altri! La memoria dell’apostolo Barnaba è l’occasione per riaccogliere il mistero del ministero apostolico in modo sganciato dal numero dei <Dodici> per sentire meglio che essere apostoli può significare molto più che essere annoverati nello stretto numero di quanti sono celebrati come colonne e fondamenta della realtà della Chiesa. Nella prima lettura possiamo contemplare come la <grazia di Dio> (At 11, 23) è ancora all’opera e spinge Barnaba a <cercare Saulo> (11, 25) nella coscienza di dover mettere tutte le migliori possibilità al servizio dell’annuncio del Vangelo di Cristo da annunciare <gratuitamente> (Mt 10, 8) come gratuitamente lo si è ricevuto. Siamo così messi di fronte a ciò che potremmo definire il dinamismo proprio di ogni respiro di evangelizzazione: la coscienza grata di essere stati raggiunti dalla grazia di Dio genera un movimento naturale che spinge a cercare gli altri là dove sono senza mai attenderli al varco di dove noi siamo stati posti non certo per nostro merito.

Non solo, l’insegnamento del Signore sottolinea oltre che la gratuità assoluta che esige la condivisione del dono ricevuto, anche una capacità di mettersi sulla strada degli altri senza attendere che siano gli altri a venire verso di noi: <In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti> (10, 11). Se meditiamo questa consegna del Signore ai suoi discepoli e ne contempliamo la sua continuazione esistenziale e attiva nella vita delle prime comunità cristiane, ci rendiamo conto di come non ci sia fedeltà al Vangelo che non sia eccentrica e centrifuga per sua stessa natura. Di Barnaba ci viene detto che è capace di rendersi conto di quanto la grazia sia all’opera nella vita della comunità fino ad essere capaci di intuire il tesoro di possibilità che si cela nel cuore dell’ultimo arrivato che è Saulo tanto che <si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso che era e pieno di Spirito Santo e di fede> (At 11, 23-24).

Il programma di viaggio della grande avventura dell’evangelizzazione si riassume in qualche verbo: <Guarite… risuscitate… purificate… scacciate i demoni> (Mt 10, 8). Tutto ciò, secondo le indicazioni e l’esempio del Signore, va vissuto e condiviso in uno stile dominato e informato da un avverbio: <gratuitamente>. Ambedue le cose sembrano impossibili senza un atteggiamento di libertà da se stessi che si esprime attraverso una sorta di spoliazione previa necessaria: <né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone> (10, 10). Tutto ciò per Barnaba significherà fare un passo indietro nel gruppo dei “nuovi apostoli” dando tutto lo spazio all’astro nascente che fu Paolo. Barnaba sembra essere un apostolo di seconda classe come noi, con il privilegio di essere tra quei <piccoli> che il Signore pone nella comunità come misura e criterio di discernimento.

Conferma

X Settimana T.O. –

Quella del Signore Gesù è una parola che forse non riusciamo a cogliere in tutta la sua portata e la sua importanza abituati come siamo ormai ad avere a disposizione tutti gli alimenti di cui abbiamo bisogno. Ma nei tempi antichi il sale era un bene primario perché andava prodotto con grande cura e portato in quelle zone in cui non si sarebbe potuto trovare. In alcuni rituali di accoglienza, come segno di attenzione verso l’ospite, gli si offriva oltre che il pane anche un po’ di sale. E il Signore Gesù pensando ai suoi discepoli, pensando a noi che desideriamo essere annoverati tra i suoi discepoli ci dice ancora una volta e in modo così diretto: <voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrebbe rendere salato?>. E come se non bastasse a farci temere di essere comunque inadeguati al nostro compito e alla nostra missione di presenza e di testimonianza in mezzo ai fratelli, aggiunge: <Voi siete la luce del mondo> (5, 14).

Ciò che nel vangelo secondo Giovanni è continuamente riferito allo stesso Signore (Gv 8, 12) quale <luce vera> (1, 9) e al profeta Giovanni suo Precursore indicato come <lampada> (5, 35) gioiosa qui viene riferito con la stessa intensità a ciascuno di noi: <così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al vostro Padre che è nei cieli> (Mt 5, 16). Proprio Matteo che tra poco insisterà sulla necessità di compiere ogni cosa <nel segreto> (Mt 6, 4.6.18), subito dopo aver elencato le beatitudini è come se invitasse chiunque ne sperimenti nella propria esistenza una piccola scintilla a non tenerla <nascosta> (5, 14) come <un tesoro geloso> (Fil 2, 6) ma, al contrario, di condividerla come si fa con la luce di una candela in piena notte e di un pugno di sale in cucina. Davanti a questo mistero di dono, che siamo noi stessi tanto da essere obbligati a donare e a condividere a nostra volta, possiamo fare veramente nostre la parole di Paolo: <E’ Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori> (2Cor 1, 24).

In altre parole, dobbiamo continuamente tenere desta la memoria che la fonte della nostra luce non è in noi stessi ma viene da Dio; la fragranza del gusto della nostra vita non è frutto della nostra sagacia, ma è partecipazione alla sapienza che viene dallo Spirito. Una simile consapevolezza non può che generare un atteggiamento di grande disponibilità alla condivisione sempre unita ad una profonda discrezione. Infatti, non siamo <padroni della vostra fede> ma <collaboratori della vostra gioia> (1, 24). La conclusione di Paolo è assai interessante: <perché nella fede voi siete già salvi>. Questo modo di guardare alla vita degli altri come già perennemente abitata dalla presenza del <Figlio di Dio, Gesù Cristo> (1, 19) rende tutto più semplice e più bello. Non si tratta di apportare nulla di nuovo nella vita dei nostri fratelli ma, semplicemente, di scoprirvi e mettere <sul lucerniere> (Mt 5, 15) ciò che già li abita profondamente, ciò che già – forse a nostra insaputa e sempre in modo invisibile – dà sapore e gusto alla nostra stessa vita. Non siamo forse tutti chiamati ad essere <collaboratori> (2Cor 1, 24) della gioia?!

Fratelli tutti

Maria Madre della Chiesa –

Non siamo ancora abituati a vivere questa memoria mariana istituita da papa Francesco per il giorno dopo la solennità della Pentecoste. Il testo degli Atti degli Apostoli proposto per la Liturgia della Parola risuona come una sorta di protocollo per la vita della Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: <Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi> (At 1, 13). Laddove i Dodici, quasi certamente accompagnati e non solo serviti dalle donne, avevano vissuto il momento della cena pasquale alla vigilia della passione del Signore, il nucleo fondamentale della prima comunità dei discepoli del Crocifisso Risorto, attende il dono promesso dello Spirito. Secondo la cronologia lucana, se la comunione nella carità è il frutto più maturo dell’effusione dello Spirito, ne è pure la premessa essenziale: <Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui> (1, 14).

Questa memoria voluta da papa Francesco per l’intera Chiesa cattolica assume un significato emblematico alla luce dell’ultima enciclica di papa Francesco firmata sulla tomba del Poverello alla vigilia della sua festa: <”Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita>. 

Il seme di questa universale fraternità è stato fatto cadere si piedi della croce del nostro amato Signore nel momento in cui redasse il suo testamento di tenerezza con la penna della croce e l’inchiostro indelebile del suo sangue versato: <Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé> (Gv 19, 25-27. 

All’indomani dello spegnimento del cero pasquale, che ha rallegrato con la sua colonna di luce le nostre assemblee liturgiche, siamo chiamati a ritornare sotto l’albero della croce. Là possiamo cogliere il frutto non proibito di una tenerezza e di un amore che sono l’univo vero antidoto ad ogni tentazione di regressione all’autoreferenzialità mortifera. La <paura> (Gen 3, 10) sperimentata dalla nostra umanità subito dopo aver acconsentito alla suggestione di potersi dare la pienezza di vita prendendola con le proprie mani, si trasforma in <stupore> (Mc 16, 8) rinnovato. Dopo aver celebrato di nuovo la Pasqua, riprendiamo il nostro cammino nel tempo ordinario nello stupore di un amore che non si lascia vincere da nessuna <paura> perché radicato nella bellezza di camminare insieme e nella promessa che siamo comunque sorelle tutte e fratelli tutti.

Oggi è la parola