Oltre

San Tommaso –

La professione di fede pasquale di Tommaso rappresenta l’apice di tutto il quarto vangelo che sembra, sin dalle prime battute del Prologo, voler essere un lungo processo di passaggio interiore dal vedere per credere al credere per vedere. Questo verbo tanto amato dall’evangelista Giovanni va inteso nel senso ampio del greco che significa comprendere in profondità. Alla fine del suo personale esodo pasquale che lo obbliga ad attraversare il dubbio e una sorta di necessaria incredulità che purifica fino a rettificare il proprio cammino di discepolanza, l’apostolo Tommaso può dire infine: <Mio Signore e mio Dio!> (Gv 20, 28). Il testo non ci dice se Tommaso ha steso la sua mano fino a toccare il fianco aperto del suo Maestro e Signore, ma sappiamo che il discepolo si è lasciato toccare fino ad essere radicalmente trasformato nel suo modo di relazionarsi al Signore risorto, ma pure ai suoi fratelli nel discepolato. Dapprima Tommaso sembra esigere un segno straordinario per credere alla risurrezione e chiede di poter passare attraverso una sorta di manipolazione del corpo di Cristo. Questo suo bisogno viene preso talmente sul serio dal suo Signore tanto da metterlo quasi in difficoltà: <Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani: tendi la tua mano e mettila nel mio fianco> (20, 27).

Il Risorto è come un bambino che non ha nessuna paura di essere toccato nel suo corpo, ma è come se volesse aiutare Tommaso e ciascuno di noi a non fare affidamento su ciò che è straordinario, ma sulla ritrovata intimità nell’ordinarietà di una familiarità che non dovrebbe avere bisogno di prove. Come il re Acaz, sembra proprio che Tommaso davanti alla presenza risorta del suo Maestro non ne voglia più sapere di segni (cfr Is 7, 12). Mentre prima pensava di avere bisogno di toccare per credere, lo splendore della presenza del Risorto lo mette subito in contatto con il cuore nuovo del Risuscitato totalmente orientato al compimento della volontà del Padre che si rivela in una compassione estrema che permette al Signore Gesù di fare ancora quel primo passo verso di noi che ci permette, infine, di fare un passo oltre noi stessi. Ciò che accade nel Cenacolo <Otto giorni dopo> (20, 26) è la risurrezione del discepolo che è frutto della risurrezione del Maestro attraverso una ricomposizione di quell’intimità e di quell’amore ferita dal dramma pasquale.

Nell’esodo pasquale la debolezza e la fragilità dei discepoli è stata come compensata dall’indicibile sovrabbondanza di donazione amorosa del Signore. Il Risorto non è semplicemente il redivivo, ma è il corifeo che apre ancora la strada nel mare del dubbio, del rammarico, della vergogna e ci fa passare oltre… oltre noi stessi per ripartire, ancora una volta, dall’Altro <per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito> (Ef 2, 22). Ogni volta che siamo come divorati dal bisogno di vedere e toccare per credere, il Signore ci apre la porta di una possibilità più profonda di credere per imparare a vedere e a toccare: farci vedere e farci toccare dalla vita e dalla grazia della risurrezione che esige la capacità di passare fino in fondo attraverso la morte e il fallimento.

1 commento
  1. Marielle
    Marielle dice:

    ” passare oltre il dubbio…oltre noi stessi…per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” : che meravigliosa vita il Signore ha programmato per noi…cosa aspettiamo per ” credere per viverla ” ? !

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Rispondi a Marielle Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *