Strada

XXXII settimana T.O.  –

La memoria dell’Esodo si fa profezia quotidiana per aiutare, sostenere e orientare il nostro cammino, attraverso i tempi e le stagioni della vita, verso una più profonda esperienza di libertà e di verità: <il Mare Rosso divenne una strada senza ostacoli e i flutti violenti una pianura piena d’erba> (Sap 18, 7). Lasciandoci ispirare da questo versetto della Sapienza per interpretare la parabola del Signore Gesù <sulla necessità di pregare sempre> (Lc 18, 1), potremmo immaginare la preghiera come l’arte di spianare la strada alla vita! La forza della <vedova> (18, 3) di cui ci parla il Signore Gesù sta proprio nella sua disperazione. In realtà questa donna non ha più niente da perdere ed è proprio per questo che può permettersi il “lusso” della povertà di andare <continuamente> (18, 5) ad importunare il giudice che, al contrario, ha da perdere almeno il suo tempo e la sua quiete. Il fatto che il Signore Gesù faccia ricorso all’immagine di una vedova importuna e la offra come modello non solo di preghiera, ma – prima ancora – di vita, non può lasciarci insensibili.

Il cammino del credente sembra essere quello di spianare continuamente una strada facendo sì che emerga la <terra asciutta> proprio <dove prima c’era acqua> (Sap 18, 7). In tal modo la preghiera diventa il luogo di trasformazione per eccellenza e non il modo per sottomettere se stessi ad una cieca e, troppo sovente, triste rassegnazione. Aprire il proprio cuore a Dio, manifestando i propri bisogni e presentando le proprie necessità, è prima di tutto un atto di coraggio che ci permette di fare la nostra professione di fede in una speranza mai sopita: le cose, le realtà, persino le persone e, prima di tutto noi stessi, possono e possiamo cambiare, devono e dobbiamo accettare di essere trasformate. Già questo passo verso la speranza che si fa preghiera e implorazione è, per certi aspetti, un sottile esaudimento della preghiera. Questo perché la preghiera non ci fa soggiacere in modo passivo, ma ci sottrae alla tentazione di farci complici di quella muta rassegnazione che sarebbe tanto gradita a quanti assomigliano a quel <giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno> (Lc 18, 2).

La preghiera è capace di far crollare il muro dell’indifferenza e dell’autoreferenzialità, per questo, ben aldilà del suo esito puntuale e visibile, è la più grande e la più duratura forma di resistenza a tutto ciò che rischia di imprigionare nella palude del <Mar Rosso> (Sap 18, 7). In questo mare infido rischia di annegare la speranza e di essere annientata la libertà di desiderare e di immaginare un futuro migliore o, almeno, diverso. Per questo, se la preghiera è un fuoco capace di discernere come <spada affilata> (18, 15) ogni ripiegamento sul proprio piccolo ego, ha bisogno – per divampare – della scintilla della fede come apertura a un di più e a un diverso che sempre disturba e rimette in cammino, come il popolo stretto nella disperazione di trovarsi con il mare davanti e il Faraone alle spalle. Allora la domanda del Signore Gesù è veramente una <spada>: <Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà troverà la fede sulla terra?> (Lc 18, 8). La fede è, infatti, come una strada si cui camminare e senza la quale ogni cammino sarebbe impensabile.

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