Il tuo nome è Vela, alleluia!

V Domenica di Pasqua –

La conclusione della prima lettura di questa domenica, che ormai già ci fa pregustare il fuoco della Pentecoste e la struggente nostalgia che segna il cammino dei credenti a partire dal momento dell’Ascensione del Signore che ritorna presso suo Padre, ci sospinge verso il largo: <di qui fecero vela per Antiochia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto> (At 14, 26). Il Signore Gesù nel Vangelo ci aiuta a capire meglio cosa sia questa vela che è capaci di portare la nostra vita sempre di più al largo permettendoci di avanzare sicuri e gioiosi sull’abisso del mare. La sua parola è semplice, essenziale, fondamentale: <Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri> (Gv 13, 34). L’evangelista tiene a specificare come il Signore Gesù abbia atteso che Giuda fosse <uscito> (13, 31) prima di dare ai suoi discepoli il mandato di essere più che apostoli, dei veri riflessi della sua stessa unione con il Padre: <Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per altri> (13, 35).

Un segno distintivo dell’amore è la capacità di rispettare e, per certi aspetti, di amare persino il rifiuto dell’amore! Per questo il Signore lascia partire nella <notte> (13, 30) della sua scelta e del suo cuore uno dei suoi apostoli, senza imporgli inutilmente il fardello di un appello ad amare cui ormai la vita di Giuda si è completamente chiusa… una chiusura che non può essere forzata dall’amore se non nella forma dell’assoluto rispetto del non-amore. Come scriveva e continuava a dire Raoul Follerau: <La carità è l’ordine che regna nella stessa vita di Dio e si fa riflesso per noi della sua eternità> e aggiunge <solo così potremo diventare veramente umani>. Pertanto, la nostra umanità è come la nave evocata nella prima lettura: essa può avanzare sfidando le correnti e le onde o accondiscendendo ai venti solo nella misura in cui spiega la propria vela al soffio dello Spirito.

Ciò che Giovanni attesta di vedere nell’Apocalisse è ciò che noi tutti attendiamo di vedere: <un nuovo cielo e una terra nuova> (Ap 21, 1). Questo nuovo cielo, questa nuova terra non possono che essere il frutto dell’accoglienza piena e generosa di quel <comandamento nuovo> (Gv 13, 32) che sta sulle labbra del Signor Gesù proprio come l’invito ad accoglierlo come <sposo> (Ap 21, 2) della nostra vita per farci iniziare all’arte dell’amore. E l’amore è sempre contemporaneo al desiderio che viene colto e accolto dall’occhio del cuore capace di vedere così in profondità da andare oltre ogni apparenza. L’amore è sempre <Ora> (Gv 13, 31) ed è nella forza di un presente assoluto capaci di dare futuro ad ogni memoria. L’amore è l’unica realtà che può rendere Dio <glorificato> dalla e nella nostra vita. Perché amando diamo spazio e peso al disegno di Dio sulla nostra umanità facendo del nostro umano cammino una tappa della sua rivelazione. Di fatto non c’è nulla di nuovo nel comandamento del Signore, ma ciò che fa tutto completamente nuovo è quel <come io> (13, 34) che fa del nostro cammino un continuo riflesso del suo essere in mezzo a noi: <Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio con loro> (Ap 21, 3). Questa presenza asciuga ogni <lacrima> e supera ogni <morte> attraverso il fuoco dell’amore che gonfia e sospinge la vela del cuore.

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