Il tuo nome è Donna, alleluia!

VI Settimana di Pasqua –

La Liturgia ci fa riascoltare le parole pronunciate dal Signore Gesù nel Cenacolo per aiutarci ad entrare nel mistero della risurrezione non come prova e rivincita contro coloro che hanno crocifisso il Signore, ma come conferma di quell’amore che si è formato tra Gesù e i suoi discepoli, tra Gesù e i suoi amici, tra Gesù e noi. Quando il Signore si racconta, parla di sé con immagini – basti ricordare quella della vite e dei tralci – che ci commuovono e allo stesso tempo ci interpellano per la loro valenza intima e perché ci richiamano continuamente alla necessità di sentire e di vivere nella linea della profondità. Al cuore dei discorsi con cui il Signore prepara il cuore dei discepoli a sostenere lo scandalo della passione vi è questo momento in cui Gesù per parlare di se stesso non trova un’immagine più bella e più espressiva di questa: <La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo> (Gv 16, 21). Questa immagine non è assolutamente nuova, ma è il contesto stesso in cui il Signore Gesù parla con i suoi discepoli alla vigilia della sua passione.

Infatti, se a questo punto il Signore Gesù paragona se stesso ad una <donna> nelle doglie del parto ormai prossimo, è perché ha preposto a tutte le sue parole un gesto fondamentale senza il quale non ci sarebbe possibile comprendere che cosa stia veramente dicendo ai suoi discepoli. Il gesto è la lavanda dei piedi che il Signore compie non come gesto eminentemente servile, ma intimamente sponsale. Non bisogna dimenticare che soprattutto nell’imminenza della sua passione, il Signore apprende il modo proprio per dire il suo amore dalle donne… dai gesti di esagerazione e di eccesso dell’amore come quello dell’unzione del suo corpo in vista della sepoltura. Se così è per il Maestro, non può che essere così anche per i suoi discepoli, tanto che l’apostolo Paolo, già chiamato in visione sulla strada di Damasco, è anch’egli come una donna che deve partorire, tanto da conoscere, ancora una volta, i dolori del parto e l’angoscia di dover continuare a rischiare sulla parola del suo Signore.

Per questo il Signore Gesù si fa di nuovo presente con una visione rinnovata che è un modo per dilatare e approfondire il suo modo di sentire e di interpretare quanto sta avvenendo e lo rende così padre: <Non avere paura continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso> (At 18, 9). Sembra proprio che il Signore stia accanto all’apostolo quasi per assisterlo in un momento difficile quanto un parto segnato dal dolore e dal rischio della vita. Gli Atti degli apostoli, ancora una volta, ci ricordano che <i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale> (18, 12) quasi come fosse una sala parto, in cui però l’apostolo – come ogni discepolo nel tempo della tribolazione – non è solo, ma è sostenuto e incoraggiato dalla presenza del Signore come uno sposo accanto alla sua donna che partorisce.

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