Il tuo nome è Frutto, alleluia!

V Settimana di Pasqua –

Siamo abituati a leggere e gustare le parabole con cui il Signore narra del regno di Dio che viene, ma siamo sempre commossi quando attraverso delle immagini Gesù parla di se stesso. Quando il Signore si racconta, in realtà, non racconta mai se stesso in modo narcisistico e isolato, ma sempre in relazione: per parlare di sé, Gesù parla sempre del Padre e parla sempre anche di noi. Per fare questo ricorre alle immagini più poetiche e più efficaci come: <Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto> (Gv 15, 1-2). La fecondità dei discepoli è intimamente ed essenzialmente legata al loro essere legati al loro Maestro e Signore, ma questo modo di concepire la fede come legame personale e non semplicemente come l’essere incastonati in un sistema religioso, per quanto generoso e salvifico, non può non creare qualche problema: <Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati> (At 15, 1). Nella sequenza interpretativa della storia che troviamo negli Atti degli Apostoli, questo non è certo il primo <problema> (15, 6) che la Chiesa deve affrontare. Infatti, si è dovuto trovare una soluzione al problema spinosissimo della sostituzione di Giuda nel collegio degli Apostoli, come pure di come far sì che le mense fossero servite in modo uguale senza distinzioni tra credenti provenienti dal giudaismo e quelli provenienti dai gentili… ma quello della circoncisione è, di certo, il più grave.

Paolo e Barnaba, ci racconta Luca nel secondo volume della sua opera, <dissentivano e discutevano animatamente contro costoro> (15, 2). La posta in gioco è la novità del Vangelo di Cristo Gesù, a partire dal quale ciò che assicura la salvezza non è la ritualità, ma la relazione personale da cui sgorga e attraverso cui deve essere autenticata ogni ritualità. Paolo e Barnaba viaggiano attraverso le Chiese mentre si recano a Gerusalemme: <raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli> (15, 3) così pure, una volta giunti alla Chiesa madre della città santa <riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro> (15, 4). Sembra proprio che nel cuore degli apostoli più aperti alla novità di quel Vangelo che ha radicalmente cambiato la loro vita, risuoni la parola essenziale del Signore Gesù che ha tutto il tono di una supplica amorevole e appassionata: <Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla> (15, 5).

Per otto volte ritorna il verbo <rimanere> che sembra misteriosamente non contrapporsi, ma portare a compimento il verbo <circoncidere>. Ciò che per i padri nella fede era espresso da questo gesto rituale della circoncisione che taglia e in certo modo espone, attraverso la nudità assoluta, alla memoria della propria fragilità, il Signore Gesù sembra volerlo esprimere con questo senso di appartenenza assoluta. Questo senso profondo di appartenenza fa sentire come una cosa sola il discepolo con il Maestro e i discepoli tra di loro che diventano il frutto maturo di una radice condivisa.

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