Il tuo nome è Salvezza, alleluia!

IV Settimana di Pasqua –

Gli apostoli devono far fronte alla <gelosia> dei Giudei, i quali si sentono feriti dal fatto che una <moltitudine> (At 13, 45) riceve la parola del Signore attraverso la testimonianza dei discepoli di quel Gesù che essi avevano ucciso. La minaccia, per così dire, dell’amore predicato e patito dal Signore Gesù sembra non dare pace ai Giudei. La presa di posizione da parte degli apostoli è molto forte e al contempo assai semplice: <Era necessario che fosse proclamato prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani> (13, 46). Nessuno viene escluso dall’esperienza e dal dono della salvezza, ma nessuno può essere costretto ad accogliere il dono di una salvezza che non può mai essere né una costrizione né un’evidenza, ma è il frutto di una scelta di consenso libero e gioioso. In questo passaggio epocale testimoniato dal testo degli Atti degli Apostoli non siamo di fronte ad una esclusione dei Giudei dal piano della salvezza, ma si ribadisce che la salvezza è un dono di cui non si può essere gelosi, ma che, per sua natura, esige di essere partecipato e condiviso. Il segno di tutto ciò è che i <discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo> (13, 52). 

Le parole che il Signore rivolge ai suoi discepoli, mentre si prepara il tempo della separazione e dello scandalo pasquale della sua umiliazione, sembrano un vero testamento. Il sigillo di questo testamento non è né la nostalgia né la gelosia, ma la certezza che la vita è più forte di ogni morte; la speranza che la gioia di un amore condiviso non si può spegnere nemmeno nella bufera e nell’uragano dell’odio più tremendo: <Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro credetelo per le opere stesse> (Gv 14, 11). Il Signore Gesù non vive con gelosia la sua relazione con il Padre, ma con un amore la cui intensità e autenticità è direttamente proporzionale alla sua possibilità di partecipazione e di incremento: <In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre> (14, 12). L’esodo pasquale di Cristo non crea un vuoto, ma diventa premessa e possibilità di una crescita, di quella che potremmo definire una vera espansione della grazia il cui segno è l’approfondimento e la dilatazione della gioia senza rimandi e senza diminuzioni: <Chi ha visto me, ha visto il Padre> (14, 9). Non c’è nessuno spazio per nessuna forma di <gelosia>!

Il Signore Gesù non attira a se stesso, ma, attraverso di sé, ci porta verso il Padre con una gioia che diventa uno stile e un sigillo. Laddove Filippo chiede di essere ammesso, per così dire, alla contemplazione e alla fruizione dell’infinito, Gesù gli ricorda e ci ricorda che l’assoluto di Dio si dà a vedere nella finitudine dell’uomo-Gesù, in cui e per cui la nostra finitudine di uomini diventa porta del cielo. Non solo, è come se abituandoci a riconoscere il volto invisibile del Padre in quello ben definito di Cristo Signore, ci si abiliti a scorgere un riflesso della presenza divina in ogni creatura con rinnovato stupore e con accresciuta gratitudine.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *