Il tuo nome è Tavola, alleluia!
VI Settimana di Pasqua –
Gli Atti degli Apostoli continuano a raccontare ciò che avviene agli inizi della vita della Chiesa e lo fa attirando la nostra attenzione su tutta una serie di incontri e di incroci che permettono al Vangelo di penetrare i cuori e di cambiare così le situazioni fin dalle radici, fin dal profondo. L’immagine con cui si conclude la prima lettura di oggi è magnifica non solo per la sua commovente umanità, ma perché ci fa intuire di che cosa è capace il Vangelo di Cristo quando penetra, con la sua luce, la <notte> di ogni paura che mette in pericolo la vita: <Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato con tutti i suoi, poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio> (At 16, 33-34). Il contrasto tra la prima scena di questo testo e l’ultimo è stridente: <fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia> (16, 22-23). Eppure, il modo con cui Paolo e Sila affrontano questa situazione vivendola <in preghiera> mentre <cantavano inni a Dio> e <i prigionieri stavano ad ascoltarli> (16, 25) è un vero e proprio <terremoto così forte> (16, 26) da cambiare il modo di sentire e di vivere.
I due estremi emotivi, di cui ci testimonia il testo degli Atti, ci fanno intuire in cosa consista la novità del Vangelo e il motivo per cui molti ne temano il terremoto che il mistero pasquale del Signore Gesù rappresenta per la storia a partire dalle relazioni tra persone. Una <tavola> imbandita in piena notte diventa il simbolo di ciò che il Vangelo porta come dono a tutti coloro che accettano di fare un passo verso la novità di vita. Il grido di Paolo squarcia ogni notte e illumina ogni prigione: <Non farti del male, siamo tutti qui> (16, 28). In questa parola dell’apostolo è racchiuso un messaggio che ci riguarda personalmente e tocca la storia nel suo complesso: ogni volta che facciamo del male a qualcuno, in realtà facciamo sempre del male anche a noi stessi. Così pure tutte le volte che facciamo del bene a qualcuno regaliamo a noi stessi una possibilità in più di <gioia>. Le parole del Signore Gesù ci portano ancora più lontano… ancora più nel profondo. Da una parte ci mettono in guardia da ogni forma di <tristezza> (Gv 16, 6) e, dall’altra, ci fanno percepire la necessità di attraversare continuamente quelle pasque relazionali senza le quali ogni contatto di umanità rischia di appassire e di intristire in una stanca ripetizione: <Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado lo manderò a voi> (16, 7).
La prigione di Paolo e Sila assomiglia alle nostre vite imprigionate in situazioni e relazioni troppo difficili tanto che la notte non sembra finire mai. Nondimeno, attraverso la preghiera, possiamo ospitare ogni relazione nelle nostre prigioni e nelle nostre notti tanto da trasformale in una <tavola> attorno alla quale ritrovare la gioia non solo di stare insieme, ma di sperare e gioire gli uni per gli altri.
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